«La scorta mi ha salvato la vita. Ma nei momenti di sofferenza e paura, la fede mi ha aiutato a vivere»
«Sono un giornalista, un ragazzo e una persona che nonostante la preoccupazione e le paure cerca di continuare a fare il proprio dovere nel migliore dei modi». Si presenta così Paolo Borrometi, giornalista nato nel 1983 a Modica, che dal 2014 vive sotto scorta per l’inchiesta della sua testata “LaSpia.it” (di cui è anche direttore) sulle infiltrazioni mafiose nel comune di Scicli (Ragusa). «Ogni tanto un murticeddu vedi che serve. Per dare una calmata a tutti» questa è stata la “dedica” a Paolo firmata Cosa Nostra, emersa dalle intercettazioni telefoniche. E proprio a quello che doveva essere un «morticeddu», dopo minacce e aggressioni, in particolare quella del 16 aprile del 2014 (che ha condotto all’arresto di quattro persone), viene assegnata la scorta (leggi anche I giornalisti vittime in Italia e nel mondo). Ma Paolo continua a fare il suo lavoro, con grande professionalità e dignità: nel 2018 inizia a lavorare anche per Tv2000, prima di passare all’Agenzia giornalistica Italia, di cui è vicedirettore dal 1° ottobre 2019. Un ragazzo semplice, che ha saputo denunciare la mafia guardandola direttamente negli occhi. Anche a costo di rimetterci la pelle, ma mai la faccia. Appena risponde al telefono ci fa una premessa: «Prima cosa: dammi del tu, perché siamo colleghi». Allora iniziamo…
Paolo, sei sotto scorta dal 2014. Rifaresti tutto da capo?
«La tua domanda presuppone un “non detto”, cioè che io abbia fatto qualcosa di particolare. In realtà, come dico sempre, ho fatto semplicemente il mio dovere. Ho cercato di dare il mio contributo a quello che è il giornalismo libero, il giornalismo che deve scavare, che deve fare le pulci a qualche tipo di potere. Questo è quello che ho fatto e che spero di continuare a fare. Quindi sì, rifarei tutto sperando che le conseguenze siano diverse».
Cosa vuol dire vivere sotto scorta?
«Io non amo drammatizzare la vita sotto scorta. Partiamo dalle cose belle: a me la scorta ha salvato la vita. Devo dire grazie a quei carabinieri che ogni giorno stanno con me, alle forze dell’ordine e ai magistrati che mi hanno salvato con le loro operazioni. Certo, la vita sotto scorta è una privazione della propria quotidianità, partendo proprio dalle cose più banali: amo davvero tanto il mare, ma è da sei anni che non faccio un bagno. Ma anche solo andare a vedere un concerto, una partita di calcio o andare a mangiare una pizza, diventa impossibile. Vivere sotto scorta vuol dire stravolgere la propria esistenza, vuole dire perdere un pizzico della tua libertà fisica. Ma per me ha voluto dire preservare la libertà più importante, cioè quella di parlare, pensare e fare il mio lavoro».
Perché hai deciso di fare questo nella vita?
«Sono siciliano e la mia terra è tutta sconquassata dalla mafia e dalle mafie. Avevo 9 anni quel 23 maggio 1992, quando per uccidere un uomo, Giovanni Falcone, fecero saltare in aria un pezzo di autostrada. Per troppo tempo ho visto persone senza speranza e io non volevo cedere a questa rassegnazione. Quindi nel mio impegno quotidiano ho provato a rimboccarmi le maniche e fare qualcosa per la mia terra».
In questo la fede come ti ha aiutato?
«La fede mi ha aiutato tanto, tanto, tanto. Questo è un aspetto così intimo che rifiuto sempre di affrontare nelle interviste, per non banalizzare. Posso solo dire che in momenti di sofferenza e paura, la fede veramente mi ha aiutato a vivere».
Perdoneresti chi non ti vuole più in vita?
«Il perdono è un sentimento molto forte e intimo. Io non penso di essere una persona ipocrita, so quanto ho sofferto e quanta sofferenza provo ogni giorno. Con tutta onestà, non so se sarei così maturo per farlo».
Che cos’è per te la giustizia?
«La giustizia è quel concetto per il quale ognuno di noi prova a fare qualsiasi cosa per ottenerla. Vengo da una terra in cui tutti chiedono giustizia, ma in pochissimi denunciano. Ecco, per ottenere davvero giustizia bisogna crederci davvero, senza rassegnarsi e abbassare la testa. Io sono un inguaribile sognatore, per questo ho una grande fiducia di chi porta la divisa in questo Paese e di chi amministra la giustizia nelle aule dei tribunali. Viviamo in un Paese dove oggettivamente ci sono troppi fatti poco chiari. Ma penso che se lo pretendiamo con forza, possiamo veramente crederci in questa giustizia».
Nel tuo libro “Un morto ogni tanto” dici: «Questo Paese non ha bisogno di eroi». Secondo te, in Italia arriveremo a non aver più bisogno di eroi?
«Cerchiamo sempre di affidarci all’uomo forte per risolvere problemi che da soli non riusciamo a risolvere. Non siamo disposti a fare sacrifici: se abbiamo davanti una strada lunga e tortuosa e una strada breve, ma che comporta la raccomandazione, il pagamento di una piccola tangente o dover chinare la testa, scegliamo quella più semplice. Non si avrà bisogno di eroi, solo con l’impegno quotidiano di ognuno di noi».
La criminalità organizzata si può sconfiggere?
«Sono assolutamente convinto che la criminalità organizzata si possa sconfiggere. Non basta solo dirlo a parole, ma bisogna farlo con fatti concreti. Purtroppo vedo un arretramento nella lotta alla corruzione. Vedo poca consapevolezza di quanto in questo Paese la corruzione sia il male del nostro tempo. E vedo le persone disinteressate al problema, per poi svegliarsi quando è troppo tardi. Io, che sono stanco di piangere quando è troppo tardi, penso però che ce la si possa fare con una maggiore consapevolezza. In questo le istituzioni devono essere più serie: troppo spesso si è abdicato affidando tutto alle forze dell’ordine o alla magistratura. Chi rappresenta le istituzioni, chi fa politica, deve essere il primo a incarnare questa voglia di cambiamento».
«Ogni tanto un murticeddu, vedi che serve! Per dare una calmata a tutti!» sono le intercettazioni di Cosa Nostra che vuole uccidere il giornalista Paolo Borrometi. Il libro del 2018, dal titolo “Un morto ogni tanto. La mia battaglia contro la mafia invisibile”, racconta le inchieste portate avanti dal giornalista modicano sugli affari della criminalità organizzata nella Sicilia sud-orientale.
Speciale a cura di Alessandro Venticinque