«Abbiamo condiviso sport e vita pastorale»
Si è conclusa il 6 novembre a Bassano Romano (VT) la Iubilaeum Cup 2025, il torneo nazionale delle diocesi italiane che ha riunito 77 sacerdoti da tutta Italia per vivere un’esperienza di sport ma soprattutto di fraternità. Sei le squadre in campo, 13 le diocesi rappresentate in un torneo di calcio a 7 organizzato dalla Seleçao Sacerdoti, la Nazionale dei preti, in questo anno speciale dedicato al Giubileo della Speranza.
A vincere il trofeo è stata la squadra composta dalle diocesi della Regione Toscana ma nel torneo, nel ruolo di difensore, è sceso in campo anche un sacerdote della nostra diocesi: Padre Lorenzo Tarletti, per la squadra che riuniva preti provenienti dalle diocesi del Piemonte e della Liguria.
Padre Lorenzo, un commento a caldo su questo torneo.
«Siamo arrivati ultimi, ma sento di essere pronto per la prossima partita che si giocherà il 13 dicembre. Per essere il sacerdote più anziano in campo, ricordo ai lettori che ho 63 anni (sorride), mi sono difeso alla grande. Anche se nel corso degli anni ho subito diversi infortuni, il richiamo del campo è sempre forte: la possibilità di condividere la passione per il calcio con altri confratelli e il fatto di poter essere d’aiuto a qualcuno attraverso le raccolte fondi attivate in occasione di queste partite, per me non ha prezzo».
Perché nonostante gli acciacchi fisici non ti tiri mai indietro?
«Parlo per me stesso: partecipare a questi tornei mi permette di non far morire una passione che porto nel cuore da sempre, fin da quando ero ragazzo. E poi perché credo che non si debba mai pensare che a una certa età non si possa più fare sport. Certo, lo si fa con le risorse e le energie che si hanno, ma finché è possibile siamo tutti chiamati a dare gloria a Dio anche attraverso le nostre forze fisiche, quello che riusciamo a mettere in campo. Sono davvero grato per il tempo vissuto con la Seleçao, perché mi ha permesso di riscoprire questa dimensione di fraternità e testimonianza che passa anche attraverso lo sport».
Perché, secondo te, vale sempre la pena scendere in campo?
«Per tutto quello che ho detto poco sopra ma soprattutto perché grazie alla Seleçao ho potuto conoscere tanti sacerdoti da tutta Italia e condividere con loro esperienze pastorali. In particolare rimango sempre colpito dai racconti dei confratelli missionari: quando aprono il loro diario con te, emergono racconti dolorosi come situazioni di guerra, dove hanno visto morire persone a loro care, ma anche esperienze di scuole per bambini e di laboratori dove insegnare un mestiere a ragazzi e adulti in luoghi dove prima non c’era nulla. Poter sentire questi episodi di vita dalla loro viva voce per me è sempre un’esperienza arricchente. Perché, al di là di ciò che vediamo nelle nostre realtà, dove a volte ci sembra che la Chiesa stia un po’ agonizzando, esistono stralci di vita ecclesiale, in tutto il mondo, che ci mostrano una Chiesa viva, che partecipa alle sofferenze degli ultimi, che continua a farsi vicina. Mi commuove sempre vedere laici, consacrati o sacerdoti che osano, che non si fermano di fronte alle difficoltà e hanno la forza di mettersi in gioco. Anche noi, nel nostro territorio, siamo chiamati ad essere in missione. Seguendo l’invito di papa Francesco ad andare verso le periferie, cerchiamo di andare incontro ai bisogni che intercettiamo, portando il messaggio di speranza che la Chiesa ci invita ad annunciare: Cristo è vivo, regna e rimane per sempre la nostra forza. Scendere in campo con questa consapevolezza mi fa sentire uno strumento di pace e di misericordia, un testimone dell’amore di Dio che può essere comunicato anche attraverso un calcio al pallone. Per me è il gioco più bello quello vissuto come gruppo, come squadra».
La Voce Alessandrina Settimanale della Diocesi di Alessandria



