Don Fortunato Di Noto, sacerdote di Avola, in provincia di Siracusa, è il fondatore della dell’associazione Meter, che combatte contro la pedofilia e pedopornografia online. «Mi permetta di dire, senza vantarmi (sorride), che noi siamo stati i pionieri nella lotta agli abusi. Meter nasce in una piccola parrocchia grazie al lavoro di alcuni giovani, e poi diventa un punto di riferimento contro la lotta all’abuso legata al web, e non solo» ci racconta don Fortunato. Tema della nostra intervista è anche il convegno sulla protezione dei minori nella Chiesa, voluto da papa Francesco, che si sta tenendo proprio in questi giorni in Vaticano.
Don Fortunato, come mai ha deciso di intraprendere questa strada?
«Questa importante avventura, che sta dalla parte dei piccoli e dei deboli, nasce all’inizio della mia vita da parroco. Ma già da giovane passavo molto tempo negli orfanotrofi. Negli Anni 90 ci fu l’avvento di Internet, e vidi le prime immagini di pedopornografia. Mi sono subito posto il problema di aiutare chi stava in difficoltà, anche se all’inizio la Chiesa non ha capito il nostro tentativo».
Ha mai subito delle minacce?
«Da più di 20 anni sono sotto “l’occhio” dello Stato, perché più volte hanno tentato di progettare la mia morte. La domanda che mi faccio è: “Perché uno che sta dalla parte dei bambini rischia la vita?”».
Come influisce Meter sulla sua vocazione?
«Molti non sanno che io sono veramente un sacerdote, nella parrocchia Madonna del Carmine ad Avola, nella diocesi di Noto. Ma svolgo anche un servizio, unico in Italia, come vicario episcopale per il disagio sociale e la fragilità, voluto dal vescovo di Noto, monsignor Antonio Staglianò. Stare dalla parte dei bambini non è una moda, oggi la Chiesa ha camminato e sta camminando tanto. Ci stiamo un po’ scoprendo come “professionisti dell’antipedofilia”. Questo è positivo, ma è anche grave: dov’era tutta questa gente 20 anni fa? Quanto dolore inascoltato… Questo mio ruolo è una chiamata evangelica che influisce positivamente nella mia vocazione».
Come Internet ha influito sul mondo della pedofilia?
«Internet per la sua natura di comunicazione immediata ha favorito l’aggregazione dei pedofili nel mondo. Meter negli ultimi 15 anni ha scoperto e denunciato 30 milioni di “materiali” pedopornografici, tra video e foto, che corrispondono a 20 milioni di minori abusati, da 0 a 12 anni. Il pedofilo preferisce bambini prepuberi. Per capirci: l’efebofilia e la pederastia riguardano minori al di sopra dei 14 anni. Internet ha amplificato aggregazioni criminali e ha “normalizzato” la pedofilia come un elemento naturale. Su questo siamo stati vigilanti, ma senza sostituirci alle Forze dell’ordine. Abbiamo elaborato protocolli con diverse polizie del mondo per accelerare le indagini, facendo aprire così 23 operazioni di polizia, con circa 6 mila tra indagati e condannati, e più di 400 arresti. Non sono numeri a caso, ma depositati presso la polizia postale».
Ci può fare un quadro su pedofilia e clero?
«Negli ultimi anni la Chiesa ha iniziato a camminare. Al di là dei proclami e delle intenzioni positive, ha anche cominciato a dare delle risposte. In Italia è stata un po’ più lenta, forse perché il fenomeno non è stato gestito al meglio. Nella Chiesa, gli abusi vengono perpetrati all’80 percento da persone con tendenze omosessuali. Questo è un dato molto interessante, che ci deve anche interrogare sulla formazione nei seminari. Detto questo, ci sono purtroppo anche persone etero che abusano. Guardi, una vittima di un prete una volta mi disse: “Un abuso è abuso, indipendentemente da tutto”».
Come si sente nel guardare un prete che ha approfittato di minori?
«Un pedofilo, anche prete, è un soggetto che ha vissuto la perversione totalmente da lucido. Non è assolutamente malato, anzi, decide di vivere lucidamente la sua perversione. Io, guardandolo negli occhi, gli offro la mia misericordia legata alla giustizia. La misericordia nasce dalla consapevolezza con l’altro che vuole fare un cammino di rifondazione».
Un parroco come si deve comportare di fronte alla confessione di un pedofilo?
«Chi viene a confessarsi riconosce il proprio peccato. Tu mi chiedi la conversione del cuore, ma io ti chiedo la conversione della tua vita: di consegnarti alla giustizia e di andarti a pentire. Il segreto di confessione è inviolabile, ma devo attivare quei canali di suggerimento e di aiuto che portano al bene. Il problema, che emergerà anche nei prossimi giorni, è la questione dell’obbligo della denuncia. Il vescovo ha l’obbligo di collaborare, un obbligo morale ed etico. La paura è che chi è denunciato viene in qualche modo già condannato dai media e dalla società. Questa è una cosa negativa».
Adesso questo importante incontro in Vaticano.
«Mi spiace dirvelo, ma la Chiesa nel summit non darà soluzioni. Spero che riesca a dare un input di responsabilità. I vescovi non devono diventare dei “tuttologi” sull’argomento, aiutiamoli a non farli cadere in questa tentazione. Loro devono farsi aiutare concretamente, per dare il senso profondo di una Chiesa che ama i bambini. Per superare la cultura dell’omertà, dell’occultamento e della “copertura”, perché così è come se perdesse la faccia. È un impegno importante, che di certo non debellerà il problema. Lo dobbiamo alle vittime del passato e, spero di no, anche a quelle del futuro. Nel nostro centro di ascolto le vittime ci chiedono di sentitisi amate e di camminare insieme con noi».
Come vede quest’attenzione del Papa sull’argomento?
«Papa Francesco e Benedetto XVI sono i due papi che hanno incrementato la lotta agli abusi. Noi, che siamo “periferia” della Chiesa, speriamo che non s’inneschi un altro tipo di abuso. Cioè l’abuso dell’omertà, certamente non del Papa. Cioè l’abuso di non dire le cose come stanno, e di non farle come bisognerebbe. Chiedo anche di non “clericalizzare” troppo l’evento di questi giorni: sarebbe utile dare spazio a coloro che sono pionieri contro la pedofilia, senza scadere in una lotta ideologica contro la Chiesa. Che, ricordiamolo, non è una multinazionale che sforna preti pedofili».
Alessandro Venticinque