Monsignor Guido Gallese ci racconta il suo “trasloco”. E i motivi per cui lo ha fatto
Eccellenza, da qualche settimana lei ha cambiato residenza. Dal Vescovado, si è trasferito in quello che è stato per secoli il convento dei Cappuccini in via San Francesco. Per quale motivo?
«Mi sono spostato per vivere in comunità. Essere a capo di una comunità e non fare vita di comunità mi fa sentire in contraddizione».
Chi vive con lei, nell’ex convento dei Cappuccini?
«Per adesso sono con i quattro frati cappuccini che stanno per lasciare il convento: padre Giuseppe, che è il padre guardiano, e poi padre Pietro, padre Roberto e padre Tommaso».
È come è il rapporto con loro? Glielo chiedo perché qualcuno, anche in malafede, dipingeva il Vescovo come il “mostro” che li voleva mandare via. È così?
«Certo che no! Anzi, più sto con loro a pregare, a condividere la mensa e la vita quotidiana, più penso che sia un vero peccato che se ne vadano. È veramente un peccato… Sono molto grato del tempo che sto vivendo con questa comunità religiosa».
Chi altri vive con lei dai Cappuccini?
«Il rettore del seminario, don Domenico Dell’Omo, e quattro seminaristi. Due sono entrati adesso… Teniamo presente che, se le cose vanno come devono andare, il prossimo anno saremo in 19, tra consacrati, suore e laici».
Dunque lei sta assaporando questa vita di comunità. Ci racconta la sua giornata tipo?
«Ci vediamo alle 7 del mattino nel Coro per le Lodi mattutine, poi dopo la Messa vado in Vescovado per le udienze. A pranzo normalmente torno dai Cappuccini, sempre che non ci siano impegni diversi».
E i seminaristi?
«I seminaristi vanno a studiare a Genova tre volte alla settimana, prendendo il treno alle 6.30. Al pomeriggio tornano dai Cappuccini, pranzano e studiano».
Quando vi vedete, allora?
«Dopo la Messa delle 18 e i Vespri alle 19, ci vediamo a cena alle 19.30. E lì abbiamo il tempo di stare insieme».
Chi si unirà a lei e agli altri che già abitano con lei, quando avrete ristrutturato gli spazi?
«I sacerdoti dell’Unità pastorale delle Sette chiese e i tre fraticelli di Spinetta: padre Daniele, padre Giorgio e padre Lorenzo, che arriveranno tra un anno, quando presumibilmente saranno terminati i lavori. E poi le mie suore, che per ora sono rimaste in Vescovado».
La mensa dei frati continuerà a funzionare?
«Ma certo! Funziona, e continuerà a funzionare. Quando i frati cappuccini se ne andranno, rimarrà comunque padre Roberto, almeno per un po’. E poi vedremo come proseguire. Certamente daremo continuità alle attività, secondo lo spirito francescano».
Lei una volta ha detto che il convento dei Cappuccini vive di Provvidenza…
«È proprio così, ed è bellissimo! Tutti i giorni viene dato da mangiare a quasi 150 persone… tutti i giorni!».
E la Provvidenza ci pensa.
«E la Provvidenza ci pensa».
Secondo lei continuerà a farlo?
«Io spero di sì. La Provvidenza non abbandona mai i suoi figli. Questi poveri sono persone a cui la Provvidenza penserà sempre. Questo è bello, ed è molto bello che anche noi mangiamo quello che arriva, non quello che ci piace. Quello che passa il convento, letteralmente (sorride). Questo è interessante!».
Oltre a vivere in comunità, quali altri progetti ha sull’ex convento dei Cappuccini?
«Porteremo la biblioteca del seminario, che uniremo a quella dei Cappuccini, e poi anche una Scuola teologica. Ci sarà l’associazione San Francesco, che continuerà a svolgere la sua opera e a portare avanti le sue iniziative, che condivideremo insieme. Desidero che tutti gli spazi dell’ex convento possano essere utilizzati da più persone».
Che fine farà il Vescovado, Eccellenza?
«Adesso io ci vado tutti i giorni, per le udienze e le altre incombenze, e poi vedremo strada facendo. Abbiamo molto bisogno di spazi, sia per gli uffici di curia sia per le altre attività. Potremmo anche pensare di collocare un museo diocesano proprio in Vescovado… Le idee sono tante, piano piano tutto si chiarirà. Un pezzo alla volta».
Questa nuova vita sembra piacerle, e non poco.
«Mi piace tantissimo! La vita comune ha l’andamento della quotidianità, che è per certi versi lento. Quando nella vita comune preghi, perdi tempo (sorride)… almeno, così pensa il mondo. Dedichi del tempo a delle cose che sembrerebbero poco produttive, quando poi hai di fronte a te un vortice di attività da portare avanti. Ma questo bellissimo contrasto dell’essere lì, al mattino, nella penombra, insieme ad altre dieci persone a recitare le Lodi del Signore con molta calma, riflettendo per cinque minuti sulla lettura breve, è un’esperienza impagabile. È l’esperienza della lentezza nel quotidiano».
Perché è impagabile?
«Perché questa lentezza è lo spazio che si dà a Dio, è stare davanti a Lui. La vita di comunità, e penso anche alla vita in famiglia, non deve essere preda dell’efficientismo, ma deve recuperare lo stare insieme, lo stare con Dio. Non bisogna avere fretta».
Andrea Antonuccio