“Nel gennaio del 2007 ci comunicano la diagnosi: un tumore nella parte facciale, che interessa anche la testa. Un anno di ricoveri, biopsie, un percorso fatto a Milano all’Istituto dei tumori, tre cicli di chemioterapia fino a metà giugno, mese in cui si decide di fare l’intervento. Alla fine del 2007, il 29 dicembre, mia moglie muore. Mia figlia aveva 7 anni e mezzo”.
Pierluigi mi racconta così la storia della malattia, e della nascita al Cielo, della moglie Cinzia. E della nuova vita da affrontare, con la figlia Daniela.
Come hai vissuto tutto questo?
Mi ero già posto dei problemi su come affrontare questa realtà. Da subito io e mia moglie abbiamo spiegato la situazione a nostra figlia. “La mamma deve curarsi”. E via via che ci avvicinavamo all’epilogo finale, mia moglie ha fatto di tutto per stare con la figlia, ha voluto esserci. Siamo stati anche allegri, e tutti si impegnavano per far sì che le cose andassero al loro posto. Quando Cinzia è morta, mia figlia ha guardato la foto del nostro matrimonio e mi ha detto: “Guarda, Gesù le ha restituito il suo vestito d’angelo”. Lo ha vissuto come un dolore, certamente. Ma un dolore condiviso.
Come è stata la vita con tua figlia da quel momento? Hai fatto da padre e da madre…
Io ho cercato di esserci con il mio tempo, in qualità e quantità. E ancora oggi, dopo quasi dieci anni, chiedo al Padreterno di darmi un cuore di mamma, quando serve. E’ un ruolo che devi giocare, tuo malgrado.
In che cosa sei stato “mamma”?
L’ho raccomandata subito a san Giovanni Paolo II, alla santa Gianna Beretta Molla e, nel prosieguo della vita, a Chiara Luce Badano. Perché vedi, un genitore semina, ma è il Signore che “aggancia” e non ti lascia più. Mia figlia adesso frequenta il Gir, cioè i “Giovani in ricerca”, e questo mi consola. Sta prendendo la sua strada di fede. Io e lei non guardiamo indietro con rabbia. Quel che è successo è successo. Guardiamo avanti, vivendo il presente con serenità.
Che cosa sostiene il tuo cammino di padre?
Una cosa la posso ragionevolmente affermare. Intanto il padrino di mia figlia, Roberto Piazza, è mancato qualche anno fa a 34 anni. Io so che abbiamo una protezione anche da lui. Ma io mi sento sostenuto da parte di tutti gli amici che continuano a pregare per questa situazione. Ritengo che la condivisione degli amici faccia di loro la mano di Dio che veglia su di me. Mi sono reso conto di aver avuto una forza di preghiera incredibile intorno a me. Vedo mia figlia crescere bene, il Signore lavora e lavora tanto. A me tocca solo mettermi a disposizione.
Che cosa ti ha insegnato il tuo papà, che è mancato da poco?
Mi ha insegnato una rettitudine morale e di comportamento.
E poi tanta fede, il senso del dovere e di come affrontarlo con la fede. Lui era infermiere, i malati per lui erano persone che il Padreterno gli aveva affidato.
E lui così li guardava, tutti.
E anch’io, nel mio lavoro, cerco di guardare chi ho di fronte allo stesso modo.