Mercoledì 14 febbraio le comunità cristiane hanno iniziato la quaresima con il rito penitenziale del Mercoledì delle ceneri. Con l’avvio di questo tempo il pensiero torna anche a quei gesti di penitenza della tradizione che sono la preghiera, il digiuno e l’elemosina. La nostra fede, a differenza di altre religioni (come l’ebraismo o l’islam), non ha particolari restrizioni alimentari e non classifica i diversi cibi in leciti e proibiti, ricordando le parole del Signore, secondo cui niente è profano, se non le azioni cattive che provengono dal cuore malvagio: «Ciò che esce dall’uomo, questo sì contamina l’uomo» (Mc 7,20). Tuttavia anche i cristiani conoscono giorni durante i quali il fedele è invitato ad osservare alcune norme alimentari, secondo uno spirito però di penitenza. Interventi specifici di Paolo VI (Paenitemini del 1966) e della Conferenza episcopale italiana (Il senso cristiano del digiuno e dell’astinenza del 1994) danno il senso di un digiuno praticato nel nostro tempo, in termini positivi e radicato in Dio: «Digiunare per Dio, non per se stessi», scrive Paolo VI; «Digiuno e astinenza non sono forme di disprezzo del corpo, ma strumenti per rinvigorire lo spirito, rendendolo capace di esaltare, nel sincero dono di sé, la stessa corporeità della persona», sottolineano i vescovi italiani. L’astinenza deve essere osservata in tutti i venerdì di Quaresima, a meno che coincidano con un giorno annoverato tra le solennità (come il 19 o il 25 marzo); in tutti gli altri venerdì dell’anno si deve osservare l’astinenza oppure si deve compiere qualche altra opera di penitenza, di preghiera, di carità. Il digiuno e l’astinenza devono invece essere osservati il Mercoledì delle ceneri e il Venerdì Santo. Che cosa differenza il digiuno dall’astinenza? La pratica del digiuno, più rigorosa e limitata a soli due giorni all’anno, impegna a fare un unico pasto durante la giornata, ma non proibisce di prendere un po’ di cibo al mattino e alla sera. Al digiuno sono tenuti tutti dai 18 anni fino ai 60. La pratica dell’astinenza, invece, esclude semplicemente l’uso delle carni, come pure dei cibi e delle bevande che, ad un prudente giudizio, sono da considerarsi come particolarmente ricercati e costosi. All’astinenza si è tenuti a partire dai 14 anni. Qual è il senso di queste norme, che, non sufficientemente motivate, rischiano di restare soltanto aridi precetti? Occorre soprattutto ricordare quanto già detto all’inizio, cioè che il digiuno e l’astinenza sono congiunti alla preghiera e all’elemosina: nella comunione con Dio e nell’apertura ai fratelli. Nelle opere penitenziali l’uomo è coinvolto non soltanto con il suo spirito, con la preghiera, ma anche con il suo corpo, con l’impegno concreto della vita: si converte a Dio e lo supplica per il perdono dei peccati; non disprezza il corpo ma rinvigorisce lo spirito; non si chiude in sé stesso e cerca di vivere la solidarietà che lo lega agli altri fratelli. Già il profeta Isaia ricordava al popolo d’Israele: «Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo?» (Is 58,6-7). Inoltre, nel digiuno e nell’astinenza la Chiesa vive l’invito di Gesù ai discepoli ad abbandonarsi alla provvidenza di Dio, senza ansia per le cose che passano: «La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito. Non cercate perciò che cosa mangerete e berrete, e non state con l’animo in ansia. Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta» (Lc 12,23.29.31).
Stefano Tessaglia