“Sono vivo perché Bartali ci nascose in cantina”. È il racconto di una delle centinaia di persone che Gino Bartali (il 18 luglio avrebbe compiuto 104 anni) ha contribuito a salvare durante l’occupazione tedesca in Italia. Il “Ginettaccio” infatti faceva parte di una rete di salvataggio guidata dal rabbino Nathan Cassuto di Firenze insieme con l’arcivescovo di Firenze, cardinale Elia Angelo Dalla Costa. Questa rete ebraico-cristiana, messa in piedi a seguito dell’occupazione nazista dell’Italia e con l’inizio delle deportazioni, salvò centinaia di ebrei locali e rifugiati dai territori prima sotto controllo italiano, principalmente Francia e Jugoslavia. Bartali, in particolare, agì come corriere per la rete, nascondendo nella sua bicicletta falsi documenti e carte, trasportandoli attraverso le città con il pretesto degli allenamenti. Rischiando consapevolmente la propria vita per salvare gli ebrei, Bartali trasferì documenti di identità falsi a vari contatti. La testimonianza che più mi ha colpito è il racconto del figlio Andrea, che dice: «Io ho sempre saputo, con papà siamo stati tanto assieme e lui mi raccontava tutto raccomandandosi però di non dirlo a nessuno perché, ripeteva, “il bene si fa ma non si dice”, e “sfruttare le disgrazie degli altri per farsi belli è da vigliacchi”». Lo sport moderno ci mostra i muscoli, l’esteriorità e la competizione a ogni costo. Ma la verità è che lo sport è forza d’animo, spiritualità e chiari e sani principi di vita.
Enzo Governale
@cipEnzo