Roberto Massaro è il direttore della Pastorale sociale e del lavoro della diocesi di Alessandria.
Di cosa si occupa il tuo Ufficio pastorale?
«La Pastorale sociale e del lavoro, in una diocesi, è da sempre impegnata a stimolare uno stile di vita cristiano che non metta tra parentesi i problemi connessi alle realtà umane. Questi sono talvolta considerati come un ostacolo o un impedimento alla realizzazione piena della propria fede. Non ci si salva nonostante la vita ed il lavoro, ma a partire da questi e tramite questi. La pastorale sociale e del lavoro è, quindi, uno spazio per formare cristiani a questa visione autentica della sequela di Cristo».
Quante persone vi lavorano?
«Questo anno pastorale è stato un po’ “l’anno zero”. Il vescovo mi ha nominato direttore di questo Ufficio nel novembre scorso e ho raccolto l’importante eredità di quanto attuato in quasi un ventennio dal professor Agostino Villa, che ringrazio. Ho partecipato alla Settimana sociale di Cagliari nell’ottobre scorso, ho ripreso i contatti e la partecipazione agli eventi regionali della Pastorale sociale. Nel frattempo si è costituita l’équipe diocesana, formata da sei persone, che mi ha aiutato in questi primi mesi a immaginare un percorso per l’attività dell’ufficio. Contestualmente con Caritas e Pastorale Giovanile stiamo avviando, nella nostra diocesi, il Progetto Policoro. È un progetto nato nel 1995 a Policoro, cittadina della Basilicata e promosso dall’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei. Ha l’obiettivo di affrontare il nodo della disoccupazione giovanile, partendo dalla valorizzazione delle risorse dei giovani stessi e della loro dignità».
Attività in programma da qui in avanti?
«Il prossimo anno pastora le sarà caratterizzato da due obiettivi primari: la formazione e la comunicazione. Organizzeremo qualche incontro di approfondimento sui temi d’attualità della vita sociale, per risvegliare la coscienza dei fedeli laici a ripensare la propria vocazione e a farsi carico del bene comune. Proporremo inoltre alla comunità diocesana qualche rifl essione su temi cogenti dove sono in gioco la vita e la dignità delle persone».
Come viene utilizzato l’8xmille?
«Il contributo dell’8xmille è sostanzialmente impiegato a sostenere le attività formative in diocesi e a finanziare la partecipazione a eventi regionali e nazionali».
Un appello ai fedeli?
«Farei un duplice appello ai fedeli laici della nostra diocesi. Il primo a riflettere sul fatto che i primi cristiani erano chiamati “quelli della via”. Il tema del cammino e della strada sono, quindi, strutturali nella nostra esperienza di fede. È importante riscoprire l’aspetto dinamico del nostro essere cristiani. Il secondo appello è a essere, a imitazione di Gesù, donne e uomini capaci di scorgere sempre la persona laddove siamo portati a vedere solo categorie. Generalmente ragioniamo dei profughi, degli extracomunitari, dei poveri, dei divorziati. Mentre, sull’esempio del Maestro, dovremmo vedere sempre la persona nella sua unicità, con la sua storia. Laddove c’erano pescatori, Gesù chiama per nome Pietro; dove gli altri vedevano l’esattore delle tasse, Gesù invita Matteo a seguirlo».
Un appello agli altri uffici pastorali?
«Con la Caritas e con la Pastorale giovanile, come accennavo prima, abbiamo iniziato a collaborare da subito sul Progetto Policoro. In generale credo sia necessario formalizzare momenti di condivisione tra i vari direttori; luoghi dove non solo si comunicano date o iniziative ma si condividono gli obiettivi pastorali alla luce delle indicazioni del vescovo. È solo se tutti maturano uno sguardo d’insieme che cresce la possibilità di vivere la “comunione”».
Tu perché lo fai?
«Il vescovo mi ha chiamato a questa responsabilità che considero, secondo quello che è un po’ il mio stile, un’esperienza a tempo determinato. In questo periodo cercherò di collaborare alla crescita nella nostra diocesi di nuove vocazioni all’impegno sociale, politico e sindacale. Questa è, per me, la vera emergenza di questo tempo confuso, difficile ma comunque amato da Dio. Abbiamo bisogno di donne e uomini che di fronte agli eventi, alle situazioni, non si accontentino di stare al balcone, o nelle sacrestie, a guardare e giudicare da spettatori estranei rifugiandosi, talvolta, in nuove e più comode forme di spiritualismo e devozionismo. Gesù è dentro la storia degli uomini. Il disimpegno è il peccato di omissione al quale come fedeli laici siamo più esposti. Solo se ci sporchiamo le mani per coltivarla, anche la terra più arida e polverosa può diventare un giardino».
Andrea Antonuccio