Commento al Vangelo di Domenica 16 settembre 2018
XXIV domenica del Tempo Ordinario
In questa domenica la liturgia ci presenta un episodio evangelico denso e importante: Gesù chiede ai suoi discepoli che cosa pensi la gente di lui, e poi che cosa pensino loro; dopo la confessione di Pietro annuncia la sua passione e le esigenze dell’essere suoi discepoli. Questo annuncio, come spesso accade, viene preparato dalla prima lettura, un oracolo del profeta Isaia sul Servo sofferente del Signore.
La questione dell’identità di Gesù è fondamentale, tanto da occupare un posto centrale, anche materialmente, nel vangelo di Marco: siamo infatti all’ottavo dei 16 capitoli di cui si compone il vangelo più antico. Si giunge ad uno spartiacque decisivo della vita di Cristo e qui inizia il suo cammino deciso verso la Città santa, luogo della sua passione, morte e risurrezione.
Dopo la prima parte della sua vita pubblica Gesù interroga i suoi discepoli: «La gente, chi dice che io sia?».
Il suo ministero, infatti, ha avuto un grande successo; egli ha insegnato con parole autorevoli e ha manifestato una potenza impressionante, accogliendo i malati e guarendoli. Per questo la sua persona suscita domande e curiosità: la gente si chiede chi sia questo personaggio che porta la salvezza e parla dell’amore misericordioso di Dio. Forse il Messia? O la reincarnazione di uno dei grandi profeti? Gesù poi rivolge una seconda domanda, direttamente agli apostoli: «Ma voi, chi dite che io sia?». È Pietro a rispondere: «Tu sei il Cristo».
Soltanto chi perderà la propria vita
per causa
di Gesù e del Vangelo potrà salvarla
La reazione di Gesù a questa confessione di Pietro è inaspettatamente negativa. Gesù accetta questo titolo, ma impone severamente ai discepoli di non parlarne a nessuno.
Il rischio, infatti, che il popolo corre è quello di pensare il Messia come un re potente, venuto a regnare e a comandare, venuto a vendicare le offese dei nemici e schiacciarli. Gesù non intende favorire questa immagine, per questo vieta ai discepoli di rivelare che egli è l’Atteso delle genti. Anzi, rovescia radicalmente la prospettiva, incominciando ad insegnare che il Figlio dell’uomo dovrà molto soffrire, essere rifiutato ed ucciso e dopo tre giorni risorgere.
Ancora una volta è Pietro ad emergere, però in negativo: prende in disparte Gesù e si mette a rimproverarlo! Pietro, e con lui discepoli, non possono accettare questa sorte umiliante per il Cristo, il maestro a cui avevano affidato tutta la loro vita. Anche Pietro si è immaginato un messia re e trionfatore, e non può tollerare l’idea di un servo che venga rifiutato, maltrattato ed ucciso.
La reazione di Gesù è altrettanto decisa e severa. Pietro lo ha rimproverato ed ora è lui che ammonisce Pietro e gli dice: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Il progetto di Dio, infatti, è un altro, quello indicato nelle parole di Gesù e dei profeti.
A questa prospettiva di dono della vita tutti i discepoli sono invitati ad associarsi: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».
Sono parole molto chiare, che cancellano le illusioni di chi vuole diventare discepolo del Messia per trionfare con lui e così soddisfare i propri desideri di successo. Gesù insegna invece che bisogna rinnegare se stessi, rinunciare alle aspirazioni umane di benessere, di affermazione di sé, di dominio sugli altri, prendere la propria croce e seguirlo.
Così soltanto chi perderà la propria vita per causa di Gesù e del Vangelo, potrà salvarla. Gesù insegna che la vocazione dell’uomo è una vocazione al dono, all’amore, non all’egoismo, non all’autosufficienza, non alla chiusura in se stessi. Chi è geloso della propria vita, chi la vuole salvare, in realtà la perde e non trova la vera gioia. Invece, che accetta di perdere la propria vita, di spenderla, di mettersi in causa per gli altri, si salva, donandosi come ha fatto Cristo.
A cura di don Stefano Tessaglia