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Vescovo Guido: «Usiamo la Lettera per il Discernimento comunitario»

Eccellenza, è stata una lunga estate, la sua. Come si arriva alla stesura della Lettera pastorale?
«Negli anni abbiamo consolidato questo metodo: ogni anno, durante l’estate, il Vescovo scrive alla sua diocesi una Lettera pastorale nella quale, dopo aver vissuto la fine dell’Anno pastorale e portato a casa il bagaglio di esperienza di questo tempo concluso, insieme alle osservazioni provenienti dall’assemblea diocesana e dai vari organismi collegiali, propone una riflessione che serva da spunto d’avvio del nuovo Anno pastorale».

Quali sono le difficoltà nella stesura della Lettera pastorale?
«La mia difficoltà principale, e mi rendo conto che non per tutti è così, è l’ispirazione: bisogna essere ispirati. È necessario provenire da un periodo in cui si riesce a far “decantare” le emozioni, le fatiche, i problemi attraverso una fase di stacco dalla quotidianità e dalle situazioni contingenti. Questo favorisce il porsi davanti alla stesura della Lettera con occhi e con cuore nuovo».

Basta l’ispirazione, allora?
«Un’altra componente fondamentale, non scontata, è essere particolarmente nutrito della Parola di Dio: è essa con la sua freschezza, con il suo taglio sempre così nuovo e così alternativo alla nostra mentalità umana, a ispirare l’approccio più autentico alla sfida dell’evangelizzazione purificandoci dal peso degli insuccessi del proprio modo di vedere umano, del “si è sempre fatto così”. A ogni modo, la Lettera pastorale resta, in qualche misura per me, un mistero. Per esempio, quest’anno la stesura mi ha affaticato molto meno rispetto agli anni precedenti. Tuttavia, dopo averla presentata, ho provato una stanchezza più pesante degli anni passati. Gli eventi che coinvolgono così fortemente l’anima sono sempre difficili da descrivere nelle loro componenti».

Saranno stati i pensieri e le preoccupazioni per questo nuovo anno…
«La risposta più vera è: “Non lo so”. Dal punto di vista conscio non mi pare. Penso piuttosto che sia lo sforzo di esprimere cose spirituali in modo che risultino da una parte fedeli all’insegnamento del Signore, e dall’altra comprensibili a coloro che le leggono: questo processo spirituale è piuttosto faticoso».

Come è giunto alla scelta del brano biblico della Lettera di quest’anno?
«Sono stato guidato da tre considerazioni. La prima è un po’ un approfondimento del discorso sui frutti contenuti nella Lettera pastorale dello scorso anno: non sono frutti nostri, ma è veramente Dio che agisce. Senza di Lui non possiamo fare nulla. La seconda è l’impressione che mi ha fatto l’immagine della Madonna di Guadalupe con il suo fortissimo impatto di evangelizzazione sulla popolazione dell’America Latina: mi ha richiamato al fatto che la nostra evangelizzazione vada “aggiustata” dall’intervento della Grazia di Dio. La terza considerazione è sulla predicazione di Paolo ad Atene, capitata nella liturgia della Parola a Messa a maggio. Mi ha colpito molto perché mi ha fatto immedesimare in tutto quel travaglio nel quale San Paolo ha maturato la necessità di lasciare a Dio lo spazio preminente nella sua evangelizzazione. Così con questo brano è venuta fuori direttamente la scelta della Lettera pastorale, ovvero la prima lettera ai Corinzi, dal decimo versetto del primo capitolo al quinto versetto del secondo: è il testo nel quale San Paolo riassume la sua maturazione interiore».

Come consiglia ai fedeli e alle comunità di accostarsi alla lettura della Lettera per un’autentica presa di coscienza di essa?
«Consiglio di farne oggetto di discernimento comunitario da parte delle parrocchie e delle comunità elettive: associazioni, gruppi, movimenti, congregazioni religiose maschili e femminili, e così via; secondo il metodo che abbiamo adottato, costituito da due momenti: il primo la Lectio Divina, il secondo la condivisione. La Lectio si suddivide in tre parti: una dedicata allo Spirito Santo: l’invocazione mediante un canto e preghiere spontanee; una dedicata al Verbo di Dio fatto carne: la lettura della Parola di Dio, la risonanza su di essa, orazioni a partire da essa, tempo di contemplazione; e infine una dedicata al Padre: la recita della preghiera che Gesù ci ha insegnato. Terminata la Lectio Divina è bene lasciare un congruo tempo nel quale i partecipanti possano esprimere ciò che il testo, letto, meditato, pregato e contemplato ha suscitato nel loro cuore, in modo che possano individuare le modalità concrete attraverso le quali quella Parola può farsi carne nelle loro comunità».

Ma per chi non vive o non frequenta una comunità ritiene fattibile la lettura della Lettera? Che frutti può portare?
«La Lettera pastorale ovviamente si può leggere anche da soli. Tuttavia la mia speranza è che chi la legge abbia desiderio di vivere l’esperienza della comunità, l’unica nella quale la Parola mostra ordinariamente la sua potenza vitale».

Eccellenza, se dovesse esprimere in pochissime parole il messaggio principale di questa Lettera che cosa direbbe?
«Direi il titolo: “Un solo corpo”. Mi richiama sia al mistero della Chiesa e del sacerdozio come configurazione al capo, alla testa di questo corpo; sia al matrimonio, nel quale i coniugi diventano una sola carne e ripropongono nella loro coppia e nella loro famiglia la dinamica di amore tra Cristo e la sua Chiesa».

Carlotta Testa

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