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Vescovo Guido: «La santità quotidiana deve risuonare in una comunità»

Eccellenza, chi è il Santo?
«Il Santo è un uomo che ha provato a vivere il Vangelo e sostanzialmente ci è riuscito. È una persona normale che ha permesso alla Grazia di fare cose straordinarie».

La santità è una strada aperta a tutti?
«Certamente sì. Riflettevo in questi giorni sul fatto che noi abbiamo delegato ad alcuni “campioni” il compito di seguire il Signore in modo serio, e li esaltiamo. Sentendoci noi in fondo persone “normali”, più affermiamo e proclamiamo che loro sono straordinari, meno siamo tenuti a seguirli. È per questo che i Santi sono sempre rimasti infastiditi dal fatto che gli altri li considerassero tali ancora in vita. Penso per esempio al Santo Curato d’Ars, quando si accorse delle immaginette con la sua effigie; o a san Filippo Neri, quando vide con sgomento un suo ritratto con sopra scritto “san” Filippo Neri, mentre era ancora in vita. Di fronte a questi atteggiamenti aveva delle reazioni per così dire folkloristiche. Una donna una volta gli disse: “Messer Filippo, lei è un Santo”. Lui le diede una sberla dicendole: “Non a te, al demonio”. I Santi avevano queste reazioni perché percepivano chiaramente di essere persone normali, che nulla facevano di straordinario. Si curavano soltanto di obbedire alla chiamata di Dio che risuonava in loro, il resto lo metteva la Grazia. Erano perfettamente consci di non avere i grandi meriti che invece le persone attribuivano loro».

Ma allora di chi è la colpa di questa “fabbrica dei santini”?
«Allora… anche se il farisaismo è un movimento ebraico che si è estinto con la diaspora, tutti abbiamo ancora un istinto farisaico, senza che nessuno ci abbia educato a esso. E avendocelo tutti, ci sosteniamo a vicenda in questo! (ride). È la più classica e naturale inclinazione dell’uomo, per cui di fronte al comportamento di un Santo che ama veramente, noi preferiamo giudicarlo estremamente straordinario per non sentirci costretti a fare come lui. Perché amare così è scomodo. Uno che va contro il comandamento principale di Gesù, che è l’amore, è uno normale; mentre uno che lo segue è “straordinario”. Dimenticando, e tagliando fuori, l’azione della Grazia. San Giovanni Paolo II ha accentuato moltissimo la santità nel quotidiano: il Santo è uno che vive in modo straordinario l’ordinario, e ordinario lo straordinario».

Come si coltiva la santità?
«Nella Lettera pastorale scrivevo che la Parola è “vocante”, ovvero ci chiama. Si parla di “chiamata universale alla santità” per dire che tutti siamo chiamati a essere Santi, ma questa chiamata viene da Dio, innanzitutto dalla sua Parola. Per cui, visto che la Parola risuona nella comunità, questa santità quotidiana deve risuonare in una comunità. E la comunità implica che ci sia un ascolto della Parola e una formazione (“Perseveranti nell’insegnamento degli apostoli”), una vita conviviale e di condivisione (“Perseveranti nella comunione”), un’intensa vita sacramentale (“Perseveranti nello spezzare il pane”) e una quantità “al plurale” di preghiera in comune (“Perseveranti nelle preghiere”). Il frutto della vita cristiana è dunque la santità».

Quali sono i Santi a cui lei è più legato?
«San Pietro, per la sua immediatezza, talvolta pasticciona. È grazie a lui che io sono diventato prete, altrimenti non avrei avuto il coraggio».

Cioè?
«Ci fosse stato solo San Giovanni, uno preciso, senza sbavature, io non avrei mai avuto il coraggio… Delle uscite a vuoto di San Pietro è costellato il Vangelo, insieme con grandi slanci. Pietro è quello che dice: “Io non ti abbandonerò mai”, e poi rinnega Gesù per tre volte. Pietro taglia l’orecchio a Malco, probabilmente accoglie Gesù sulla barca, e mentre la barca sta affondando lo rimprovera: “Maestro, non ti importa che moriamo?”. Pietro dice: “Tu sei il Cristo” oppure: “Signore, da chi andremo?”; “Tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene…”. All’opposto, come storia e temperamento, mi ha sempre affascinato la vita di Santa Teresa del Bambin Gesù, una donna che ha puntato diritto verso Dio, senza tortuosità. E poi aggiungo San Filippo Neri, per questo suo modo molto allegro e direi quasi scanzonato di vivere l’intensità del rapporto con Dio e l’amore per i fratelli».

E un Santo non ancora riconosciuto dalla Chiesa, ma che per lei è significativo?
«Il mio Padre spirituale, don Franco Ricciardi, prete della diocesi di La Spezia, che ovunque sia andato ha lasciato un segno profondo per la sua intensità spirituale. E anche mia mamma, innamorata di Gesù Cristo come una ragazzina. Era una donna di grande silenzio, sullo stile della Madonna. Tuttavia mi capitava che tornando a casa trovassi dei miei amici che erano venuti a parlare con mia madre. Senza dirmelo!».

A cura di Andrea Antonuccio

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