Il politico
La Costituzione
La Costituente ha terminato il suo compito dando alla nuova repubblica italiana il nuovo Statuto. Nel 1848 Re Carlo Alberto promulgava la sua “magna charta” sospirata da tanti anni dai “costituzionali” di allora; dopo un secolo preciso andrà in vigore la “magna charta” che il popolo italiano si è data da sé, uscendo da una delle più terribili catastrofi della storia. Possiamo dirci soddisfatti dell’opera dei deputati che gli italiani incaricarono di redigere il nuovo statuto? Il documento ha certo risentito molto della irrequietezza dell’ambiente e delle manovre tattiche delle varie parti, non tutte preparate come si sarebbe dovuto sperare alla compilazione di una legge fondamentale: è inutile cercare nella carta costituzionale una omogeneità di dottrina; titolo per titolo, forse articolo per articolo, al vaglio di una severa critica dottrinaria mostrano pezzi diversi di macchine opposte messi assieme da un congegno che non si salda coerentemente e non è dunque un congegno nato da un cervello solo. Quando però si segua la cronaca dei dibattiti e delle votazioni, si deve dire che la “magna charta” è riuscita, nonostante tutto, una delle più complete e meglio aggiornate, fra quelle delle nazioni moderne. La Democrazia Cristiana è stata il fulcro attorno al quale si lavorò. Essa contava il maggior numero dei deputati e soprattutto contava una dottrina chiara, aderente ai bisogni della ricostruzione. Se lo statuto avesse dovuto dettarlo la Dc certo sarebbe stato opera più completa, più solida, più democratica. Avvenne invece che la Dc ad ogni articolo affacciò le sue proposte; dagli altri partiti si giocò ad approvarle meno integrali. Non si poteva presentarne delle opposte (perché agli elettori non si era promesso né il collettivismo, né il conservatorismo); si fece allora tutto il possibile per scardinare, limitare, sostituire quelle della Democrazia cristiana. Nelle grandi battaglie sui problemi del lavoro, della scuola, della famiglia, della religione, dell’amministrazione regionale, la Dc ottenne veri successi per il bene del Paese, e se qualche penna dovette perderla, la perdette per errore di tattica e non per chiarezza di dottrina. Ai deputati cattolici va la riconoscenza dei cattolici non solo per quanto ottennero di buono dalla Costituente ma per il modo dignitoso, altamente consono ai loro principi, in cui lo ottennero. Servirà ora la Costituzione al bene del Paese. Disse più volte De Gasperi: servirà in quanto noi cattolici la faremo servire. E dopo la battaglia per lo statuto prepariamo con non minore entusiasmo e disciplina quella per l’applicazione dello statuto.
Carlo Torriani, da “La Voce Alessandrina”, 18 dicembre 1947
Il sacerdote
Don Carlo vero ministro di Dio
Ripetono i Padri della Chiesa parlando del sacerdote: “ricordati che sei Ministro di Dio”; mentre il tempo dà più precisi contorni alla grande opera di Mons.Carlo Torriani, è bello ricordare la Sua figura nella luce sacerdotale. Valido politico, sindacalista, giornalista, vincenziano, ma grande soprattutto nel Suo sacerdozio. La sua vocazione ebbe il segno di predestinazione nella augusta parola del Sommo Pontefice Pio XI. Racconta don Carlo in Uomini di buona volontà i suoi timori per una scelta così impegnativa, e come questo dubbio permanesse il 12 ottobre 1934, giorno memorabile per una udienza privata del S. Padre. Il Comm. Ciriaci che accompagnava l’allora avv. Torriani ne accennò al Papa, e Pio XI, posando le sue mani sul capo di don Carlo così si espresse: “è una vera vocazione, anzi una elezione, una predilezione del Signore”. A quarantacinque anni, l’avv. Torriani diventava il seminarista Torriani (perdeva i baffi ), ed il 22 maggio 1937 Mons. Milone lo consacrava sacerdote. Il compito di chi è sacerdote è ben delineato da S. Paolo: “Fatto sacerdote per gli uomini in quelle cose che riguardano Dio”. Sacerdozio, quindi, vita per gli altri. Don Carlo visse per gli altri. Ed ancora l’insegnamento della Chiesa: Sacerdote perché sradichi, distrugga, edifichi, pianti. Lui ha sradicato sfiducia e timori in molti in ore di incertezza. Ha sradicato il senso dell’apatia e delle inutili illusioni umane, ha sradicato la misura meschina dell’uomo per sostituirla con quella di Dio. Dove passava lui, il senso del Sacerdozio presentava una testimonianza nuova e sempre efficace. Non era il cultore di anime improvvisato e impreparato, era l’esperto, il navigato, e se la sua mano prendendo sradicava non era capriccio di bimbo che divelle arbusti per gioco, ma tecnica di giardiniere che conosce ciò che giova. Ha distrutto il peccato in tante creature umili e grandi; una distruzione che ha prodotto miracoli. Andate, interrogate quelle creature di una casa di sofferenza e scoprirete quale fonte di serenità fosse il Confessionale di don Carlo. Venivano di lontano uomini di tutte le tendenze e nella cameretta spoglia versavano nel grande cuore sacerdotale le loro pene; non era solo più l’uomo, l’avvocato, il consigliere, era il Ministro di Dio con la sua potestà. Io ti assolvo… più luce, più gioia, nuova speranza. Ha edificato; chi costruisce deve pensare alle fondamenta (S. Agostino); fondamenta solide le sue: umiltà e carità. Il vecchio tabarro, uno tra molti, con voce dimessa e procedere schivo. Le direttive dei Superiori il suo verbo, la parola nostra di inesperti sempre ascoltata e valorizzata da lui che in tutto poteva esserci maestro. Carità per tutti, per i diseredati, per gli abbandonati, per i sofferenti, ed anche per i ricchi che di una carità speciale hanno bisogno. Edificio sacerdotalmente solido il suo, e lo inculcava negli altri con le stesse caratteristiche. E quanto avesse edificato lo si è visto al suo funerale, tra una folla più convinta di avere un santo da venerare, che una creatura da suffragare. Ha piantato: la verità. Maestro dalla cattedra del Seminario nell’insegnamento della storia. Il filo conduttore di Dio negli avvenimenti umani era il suo canovaccio; la città di Dio per gli uomini il suo assunto, non tutti erano buoni costruttori ma tutti concorrevano anche involontariamente ad edificare Dio. Seminatore di verità attraverso la stampa, che dal Suo sacerdozio attinse quella misura dogmatica così adatta ad illuminare le menti. Sacerdote di Dio è il più bel titolo che gli compete e sarà il segno suo per tutta l’eternità: tu sei sacerdote in eterno, l’ordine di Melchisedek. Il nostro suffragio in quest’ora e la nostra preghiera perché ci soccorra nell’ardua battaglia.
Don Carlo Canestri, da “La Voce Alessandrina”, 15 maggio 1958
Il giornalista
L’avvento di don Carlo Torriani
All’inizio di ottobre del 1919, il nuovo Vescovo Mons. Giosuè Signori – da maggio alla guida della diocesi – chiama alla direzione del giornale un avvocato trentenne, Carlo Torriani. Formatosi, a Torino e ad Alessandria, nell’associazionismo cattolico, Torriani si è già distinto per la sensibilità sociale e l’impegno politico. Presidente piemontese della Gioventù cattolica, attivo organizzatore di gruppi di giovani, deciso oppositore al Patto Gentiloni, fondatore dell’Unione del Lavoro all’indomani della fine della prima guerra mondiale, Torriani ha partecipato, nel gennaio del ’19, alla nascita del Partito Popolare sturziano. La nuova impostazione appare, da subito, evidente: “L’Ordine”, da giornale prevalentemente religioso, si trasforma in un foglio dal taglio decisamente sociale e politico. È lo stesso Torriani, segretario provinciale dei popolari, a promuovere la nuova testata: “La Libertà” comincia le sue pubblicazioni nel gennaio del 1920. Sul piano politico, la linea è chiara: pieno sostegno a Sturzo, anche quando questi prende le distanze dalla collaborazione governativa con Mussolini. Sul piano locale, “La Libertà” si fa rispettare: memorabili le battaglie dialettiche con i giornali liberale, socialista e – dal 1921 – comunista. La polemica con i fascisti locali non si ferma, purtroppo, alle sole parole: nel settembre del 1922, il direttore del foglio diocesano viene schiaffeggiato, in pieno corso Roma, dal deputato Edoardo Torre. Il giornale va avanti, almeno sino a quando il regime lo permette: nel 1923, le pressioni delle autorità fasciste costringono Torriani a lasciare la direzione de “La Libertà”. Dopo un laico, tocca nuovamente ad un sacerdote: è don Carlo Danielli, chiamato a guidare il settimanale dal Vescovo Nicolao Milone, entrato in diocesi nel luglio del ‘22. Per quindici anni – gli succede, nel 1938, don Giuseppe Amato, arciprete della Cattedrale – Danielli presenta alla comunità un foglio dalla veste quasi esclusivamente religiosa nel quale le pagine che sottolineano i frutti positivi della collaborazione con il governo – la Conciliazione, l’insegnamento religioso nelle scuole, il matrimonio religioso riconosciuto dallo Stato – si affiancano a segnali di imbarazzo e di preoccupazione, come nel caso della chiusura – avvenuta nel ‘31 – di circa trecento circoli di Azione Cattolica in tutta la provincia. Nell’aprile del 1940, “La Libertà”, per intervento dell’autorità fascista, è costretta a cessare le pubblicazioni. Le subentra “La Voce Alessandrina”, sempre sotto la guida di don Amato. L’anno successivo, il prefetto Soprano ordina il sequestro del giornale, colpevole di aver pubblicato il messaggio natalizio di Pio XII con il titolo Terzo Natale di guerra. Pur con due sole facciate, “Voce” riprende le pubblicazioni: tra la fine di aprile e l’inizio di maggio del ‘45, un moto di gioia, di entusiasmo e di speranza saluta la liberazione della città e la fine della guerra, Il nuovo Vescovo, Mons. Giuseppe Pietro Gagnor, in diocesi dal marzo ‘46, richiama Torriani – nel frattempo ordinato sacerdote – alla guida del giornale. Quelli che seguono sono anni difficili e, al tempo stesso, esaltanti: soprattutto grazie al suo direttore, “Voce” diventa espressione sincera e nobile delle ansie e delle speranze di un’intera comunità. Torriani individua, nella centralità della persona umana, nella difesa della famiglia, nella tutela della libertà di educazione, nel rifiuto di ogni forma di totalitarismo, nella lotta alle ingiustizie sociali i fondamenti del nuovo Stato democratico. Predilige, rispetto a quella monarchica, la soluzione repubblicana perché più capace di interpretare le attese e le aspettative del popolo italiano. Percepisce la battaglia politicoelettorale dell’aprile ‘48 come vero spartiacque tra libertà e illibertà, democrazia e totalitarismo, concezione cristiana dell’uomo e ateismo materialista. Approva, nel luglio ‘49, il decreto del Sant’Uffizio sulla scomunica ai comunisti; saluta con entusiasmo, nella primavera del ‘50, la nascita della Cisl; difende l’alleanza atlantica e la costituzione della Nato, accompagna con sguardo favorevole il cammino europeista; celebra l’ingresso dell’Italia nell’Onu. Quando, nell’aprile del ‘58, nella sua cameretta presso il Piccolo Ricovero della Divina ProvVidenza di Madre Michel, si spegne don Carlo Torriani a tutta la comunità alessandrina appare evidente una cosa: è venuto meno un coraggioso interprete dei tempi, riferimento morale per coloro che hanno a cuore i valori della libertà e della democrazia, testimone lucido ed appassionato di una fede autentica ed aperta agli altri.
Ezio Gabutti, da “1879-2009: Centotrent’anni tra la gente”