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Intervista a monsignor Massimo Marasini – Occorre sempre distinguere tra reato e peccato

“La protezione dei minori nella Chiesa”: è questo il titolo dell’incontro che riunirà 190 partecipanti provenienti dai cinque continenti, in programma da giovedì 21 a domenica 24 febbraio in Vaticano. Abbiamo chiesto a monsignor Massimo Marasini, Vicario giudiziale del Tribunale ecclesiastico della nostra Diocesi, qualche riflessione sul tema dal punto di vista delle dinamiche giuridiche ecclesiastiche, e che cosa potrebbe cambiare dopo questo convegno fortemente voluto da papa Francesco. «L’ordinamento generale della Chiesa, che si chiama Diritto canonico, ha giurisdizione su tutti i fedeli nelle materie che riguardano i ruoli, le prerogative e i doveri delle persone in quanto appartenenti alla Chiesa cattolica» spiega Marasini. «La maggior parte delle norme e delle leggi si appella innanzitutto alla coscienza di ogni singolo individuo, ricordando e richiamando la dimensione trascendente della vita umana nella quale un giorno saremo chiamati a rendere conto delle nostre azioni, e perciò del bene e del male fatto. Ma certamente l’osservanza positiva delle leggi ha una sua espressione specifica nell’azione visibile della Chiesa, nel suo essere presente come strumento di salvezza, presentando ai fedeli dei criteri di discernimento per una testimonianza coerente della vita morale cristiana e anche esprimendo un suo diritto penale in caso di trasgressione di alcune norme per il bene dell’istituzione e dei fedeli».

Ci può spiegare?
«In altri termini, la trasgressione delle leggi canoniche può provocare diverse situazioni giuridiche, che vanno dal segnalare una fondamentale incoerenza tra ciò che si crede e come si è agito, la cui posta in gioco però rimane all’interno del rapporto del fedele o del consacrato con la Chiesa, fino ad azioni immorali gravissime che feriscono la comunità ecclesiale per la gravità oggettiva e per lo scandalo e il disorientamento che provocano. Questi crimini, come la pedofilia e la violenza e l’abuso di potere, hanno conseguenze gravi sulla libertà, integrità e dignità delle persone che li subiscono, oppure creano grandi e laceranti scandali all’interno della Chiesa, al punto da richiedere urgenti e ineludibili provvedimenti disciplinari, e perciò penali, da parte degli organi preposti. Essi costituiscono i “delicta graviora” già oggetto di disposizioni speciali con Benedetto XVI. Ed è proprio su questa materia che il Papa ha convocato l’incontro dei prossimi giorni».

Oggi come “funziona” il Diritto canonico applicato a questi casi?
«Nella struttura della Chiesa, contrariamente a ciò che avviene nella cultura giuridica degli Stati moderni, non esiste la rigida separazione dei tradizionali poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario. Fondamentalmente essi afferiscono al Papa con giurisdizione su tutta la Chiesa cattolica, e ai singoli vescovi per le loro diocesi».

La conseguenza?
«Il Papa utilizza i dicasteri e gli uffici e i tribunali della Santa Sede, mentre come “strumento operativo” della facoltà giudiziaria del vescovo ordinario il Diritto prevede un Tribunale ecclesiastico diocesano presieduto dal Vicario giudiziale, il quale costituisce un tutt’uno con il vescovo. Sta al vescovo stesso affidare o meno al Tribunale tutte o solo alcune istruttorie che riguardano sacerdoti o fedeli implicati nei delitti di cui abbiamo parlato prima. Dal punto di vista pastorale, e secondo un’antica prassi ecclesiastica, si è sempre considerato il ricorso al Tribunale come “ultima possibilità”, falliti tutti gli altri tentativi. Il senso è che il vero pastore devo cercare di indurre al pentimento e alla conversione il fedele o il consacrato in errore, con argomenti che tocchino profondamente la coscienza. Più semplicemente ogni vescovo si è sempre sentito un padre verso i propri sacerdoti anche quando hanno gravemente sbagliato».

Alcuni ritengono offensivo e insufficiente questo modo di agire, soprattutto nei confronti di chi ha subito violenza.
«Certamente questo tipo di approccio ha generato, in diversi casi, delle “zone” di ambiguità e di incomprensione che possono aver permesso atteggiamenti omertosi, ripetuti nel tempo. Ma l’atteggiamento del Papa, giustamente così intransigente, creerà su questi temi una serie di norme alle quali vescovi e tribunali dovranno attenersi, con pochi ambiti discrezionali».

C’è chi vede in questo “vento nuovo” anche qualche rischio…
«L’unico rischio che personalmente intravedo è che un’applicazione indiscriminata di un codice di rigore potrebbe far venire meno la opportuna differenziazione tra peccato e reato. Cioè, non tutto ciò che moralmente è illecito può essere considerato dal Diritto canonico un reato. Questa differenziazione, che si annulla in casi gravi come quello della pedofilia, certamente un reato da denunciare e punire, potrebbe essere di difficile estensione in altre situazioni senza degenerare in un rigorismo da “caccia alle streghe”, con grave danno, per esempio, al segreto della confessione. È una questione delicata, su cui sono certo papa Francesco saprà esprimersi al meglio».

Andrea Antonuccio

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