Il confratello
Era vicinissimo al compimento del settantesimo anno di sacerdozio, essendo stato ordinato il 28 giugno 1953 e avendo di conseguenza raggiunto un’età considerevole, e tuttavia la notizia della morte di don Franco Torti ci è giunta improvvisa ed inaspettata, come la visita del ladro dell’ammonimento evangelico. Certo, oltre all’età c’era da considerare anche il carattere precario delle condizioni di salute, che lo avevano costretto da tempo alla sedia a rotelle, costretto sì ma non immobilizzato, termine che a lui non si addiceva; e tuttavia l’averlo visto, non più di tre mesi fa a Solero, il giorno della riapertura della chiesetta di san Michele, vivace e pieno di brio, e sempre in possesso della abituale lucidità, non ci aveva in alcun modo fatto presagire la vicinanza della fine.
Apparivano intatte quella forza e quella tenacia che lo avevano sorretto nei lunghi anni della malattia, fino a indurlo a continuare il suo ministero di parroco ad onta di limitazioni che a chiunque altro sarebbero parse invalicabili, quel fondo di ostinazione magari non disgiunto da una certa caparbietà, nel quale ci piace ravvisare il retaggio dello spirito contadino della nostra gente, ravvivato naturalmente da una fede che proprio dalle difficoltà attingeva forza e vigore. Era felice, quel giorno, don Franco, nel vedere restituita a nuova vita la chiesetta prossima a quella che era stata la sua casa, all’ombra della quale aveva appreso le sue prime preghiere e sentita sbocciare, forse, la sua vocazione; e nessuno di noi pensava che non lo avremmo rivisto.
Altri dirà della fecondità di un impegno pastorale protrattosi così a lungo; a chi conserva il ricordo, per quanto sbiadito, di don Franco seminarista e sacerdote novello, sia consentito piuttosto rievocare la memoria degli anni lontani in cui la nostra terra era ancora prodiga di messi: egli fu preceduto, infatti, nel ricevere gli ordini sacri, l’anno prima da don Mario Pozzi e seguito l’anno dopo da don Giacomo Pasero, i quali lo hanno preceduto, entrambi, nel ritorno alla casa del Padre. Fu un fatto memorabile, quasi grandioso momento di pausa in un processo avviato da tempo con ritmo dapprima esitante e poi via via più accelerato, una sorta di canto del cigno prima del lungo silenzio appena interrotto da don Maurilio Guasco nel 1962 e poi da don Nicola Robotti addirittura nel 2020. Possano l’esempio e l’intercessione di don Franco, che esercitò il suo ministero con spirito cui non disconviene la definizione di eroico, contribuire a far scaturire l’acqua dalla roccia e a restituire una rinnovata fecondità alla terra riarsa.
don Mario Bianchi