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Le tentazioni del potere

Intervista al professor Renato Balduzzi sul prossimo appuntamento del 21 marzo

Dopo il primo appuntamento con Cecilia Crescioli (ve lo raccontiamo a pagina 4), proseguono gli incontri dei Martedì di Quaresima organizzati dalla diocesi di Alessandria in collaborazione con il Centro di cultura dell’Università Cattolica e il Meic, Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale di Alessandria. Martedì 21 marzo, alle ore 21 nell’Auditorium San Baudolino di Alessandria, Rosy Bindi affronterà il tema delle “tentazioni del potere”. Ne parliamo con il professor Renato Balduzzi, professore ordinario di diritto costituzionale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, nonché co-promotore dei Martedì.

Professor Balduzzi, partiamo dal titolo del prossimo incontro dei Martedì di Quaresima: “Come difendersi dalle tentazioni del potere?”. Perché questa scelta? Ha forse a che fare con le tentazioni di Gesù nel deserto?
«Trattandosi in questo caso dei Martedì di Quaresima, il legame diventa spontaneo. Mi viene in mente una frase di Dietrich Bonhoeffer (teologo luterano tedesco giustiziato dai nazisti nel 1945, ndr) secondo cui le tre tentazioni di Gesù sono le manifestazioni di una stessa tentazione, quella di strapparlo dalla Parola di Dio, cioè dall’essenziale della vita. In fondo, le tentazioni del potere si riassumono nella tentazione di negarne il senso profondo e ultimo di servizio alla città, di perseguimento consapevole del bene comune come bene di tutti e di ciascuno: espressioni talvolta abusate, ma che conservano una base di verità».

Lei le tentazioni del potere, o almeno quelle della politica, le ha conosciute. Sono davvero così potenti?
«Sono potenti, e tendenzialmente possono risultare vittoriose, se chi esercita pubbliche funzioni non ha una rete di protezione: anzitutto, una sua rete interiore, una struttura intima di resistenza; e poi una rete di relazioni positive, dalla famiglia al gruppo di amici (attenzione: di amici, non di fedelissimi!). Penso sia molto importante la funzione del cosiddetto staff, cioè del gruppo di collaboratori più stretti: è nella relazione con lo staff e nelle relazioni reciproche al suo interno che matura la capacità di resistenza alle eventuali tentazioni. Dimmi quale staff hai e ti dirò chi sei, potrebbe essere un ideale motto della persona cui sono affidate funzioni pubbliche. Aggiungo che la nostra Costituzione, all’art. 54, comma 2, prevede che i titolari di pubbliche funzioni le debbano esercitare con disciplina e onore: se “disciplina” sembra traducibile con correttezza e competenza, “onore” richiama la necessità di un forte disinteresse personale».

Esiste una tentazione “irresistibile”?
«Forse quella di dimenticarsi appunto che il potere è servizio, e soltanto se è servizio non degenera. Ecco perché bisogna sempre diffidare rispetto a quanti non accettano di perdere potere e vogliono ostinatamente continuare a “servire”, magari contro tutto e contro tutti. Giovanni Sisto, tra le tante cose, mi insegnò con i suoi comportamenti a diffidare della prima tentazione del potere, quella di volerlo perpetuare all’infinito».

È stata chiamata Rosy Bindi a trattare questo argomento, così delicato e al tempo stesso affascinante. Perché lei?
«Bindi ha dimostrato di essere un testimone credibile sia durante l’esperienza di parlamentare e di ministro, sia quando ha avuto il coraggio di ritirarsi dall’esperienza diretta, non riscontrando più la presenza di condizioni per un servizio coerente. Non è certo l’unico esponente della politica e delle istituzioni che avremmo potuto invitare, ma ci è sembrato utile inserire nel programma dei nostri Martedì 2022-2023 una persona alla quale la generalità degli osservatori politici riconosce il carattere di testimone delle proprie convinzioni».

Scorrendo la sua biografia professionale e politica, professor Balduzzi, emerge una frequentazione assidua con Rosy Bindi. Come è nato questo rapporto?
«Nasce, potremmo dire, nella diocesi di Alessandria, almeno idealmente. Infatti, la mia conoscenza con Rosy Bindi data dal lontano 1973, alla Casa Maria Nivis di Torgnon, nel corso di un campo-scuola nazionale di Azione Cattolica che ospitavamo. Rosy era nella presidenza nazionale e aveva già quelle caratteristiche di determinazione e concretezza che la faranno, più tardi, conoscere a un pubblico più largo. In quegli anni, come responsabile giovanile diocesano di AC e come componente dell’équipe nazionale del Msac (Movimento studenti di Azione Cattolica, ndr), trascorrevo parte significativa dell’estate proprio alla Maria Nivis. Furono anni molto intensi di formazione spirituale e umana».

Vi siete ritrovati, più tardi, nella vita politica e istituzionale.
«Molto più tardi, all’inizio degli Anni 90, quando insieme ad altri esponenti di comune ispirazione ideale promuovemmo “Carta 93”, un movimento che si proponeva di non disperdere il meglio dell’esperienza storico-politica della Democrazia cristiana. Ma la collaborazione più stretta risale alla nomina di Bindi a ministro della sanità, nel giugno del 1996. Ricevetti da lei una telefonata nel corso della quale mi chiese di accettare la nomina a suo consigliere giuridico, Obiettai che sino ad allora non mi ero mai occupato specificamente di sanità. Mi replicò che quello di cui aveva bisogno era un aiuto di carattere giuridico complessivo, e che a suo parere lo potevo assicurare; il diritto sanitario l’avrei studiato sul campo. Lei era a conoscenza che, alcuni anni prima, avevo svolto l’incarico di consigliere giuridico nei confronti di due ministri della difesa, Mino Martinazzoli e Virginio Rognoni. Alla fine accettai, e per quattro anni fui consigliere giuridico e poi anche capo dell’ufficio legislativo del ministero, un’esperienza che sicuramente mi giovò quando, 15 anni più tardi, venni nominato ministro della salute. Avemmo poi occasione di rinnovare la collaborazione quando la Bindi, nominata ministro per le politiche della famiglia nel secondo governo Prodi, mi volle come consigliere giuridico».

Ci racconta un episodio significativo del vostro lavorare insieme?
«Ve ne sarebbero molti, potrei scrivere un libro di memorie (sorride). Preferisco ricordare, più che un singolo episodio, un contesto, ancora più recente, che mi ha dato modo di apprezzare l’alto senso istituzionale di Rosy Bindi. Mi riferisco agli anni in cui lei è stata presidente della Commissione parlamentare antimafia, che hanno coinciso con il mio mandato di componente del Consiglio superiore della magistratura. Ho avuto modo di constatare, da palazzo a palazzo, il coraggio con cui quella commissione parlamentare antimafia ha affrontato temi delicatissimi, come i rapporti tra mafia e massoneria. La relazione finale al Parlamento costituisce una base di partenza per un contrasto efficace, da parte della politica, nei confronti di alcune manifestazioni di criminalità organizzata».

Si può essere, o diventare, amici “maneggiando” il potere?
«Se si ha del potere una concezione non troppo dissimile, penso proprio di sì. Nel nostro caso, poi, credo abbia influito molto la comune formazione associativa e spirituale. E poi, siamo nati lo stesso giorno, sia pure in anni diversi…».

Entrambi vi rifate al cattolicesimo democratico: nella situazione attuale, in quale formazione politica potrebbe trovare la sua “casa” una cultura e una sensibilità di questo tipo?
«Sono convinto che il cattolicesimo democratico si caratterizzi per l’accento sulla categoria della mediazione, non nel senso di cedevolezza o compromesso deteriore, ma di capacità di rielaborare il valore attraverso il confronto storico-culturale, di valorizzare il pluralismo senza cadere nel relativismo. Da ciò derivano altri caratteri, quali la propensione per la valorizzazione dei corpi intermedi e la diffidenza verso leadership eccessivamente personalizzate. Si tratta di opzioni che oggi fanno fatica a trovare casa. Ma forse proprio per questo c’è ancora tanto bisogno di cattolici democratici».

Andrea Antonuccio 

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