Intervista al primo ospite del percorso: Leonardo Macrobio
Parla il direttore dell’Ufficio catechistico, responsabile dell’area Vita Affettiva
Parlaci di te
Leonardo, ti chiedo di raccontarti.
«Nel corso dei miei 52 anni abbondanti di vita ho imparato a definirmi in questo modo: “Marito per vocazione, insegnante per professione e padre per grazia”, perché penso che questi siano i tre pilastri che hanno fondato e stanno tenendo in piedi la mia vita. Il mio tentativo è quello di essere il miglior marito possibile per mia moglie, il miglior padre possibile per le mie figlie e il miglior professore possibile per i miei alunni, con la grazia di Dio appunto».
E adesso sei chiamato a essere il miglior direttore possibile per l’ufficio catechistico …
«È un quarto pilastro che assolutamente non mi aspettavo…»
Perché il vescovo ti ha chiesto di dirigere proprio questo ufficio?
«Bisognerebbe chiederlo direttamente a lui (ride). Ho imparato nella vita della chiesa che solitamente il Signore chiama attraverso le voci più inaspettate e nei ruoli più inaspettati. Perché se appunto Yahweh ha sconfitto tutti i nemici di Israele con solo una mandibola d’asino, figurati cosa può fare con un asino intero. La sto vivendo un po’ così».
Quindi tu sei nel ruolo dell’asino…
«Io mi sento nel ruolo dell’asino nel senso che mi sento profondamente inadeguato, non solo personalmente ma anche culturalmente per questo ruolo. Però la cosa che mi affascina è che, proprio perché sto cominciando da zero a scoprire il mondo del catechismo, può essere interessante scoprirlo insieme ai catechisti, quindi in qualche modo farmi guidare da loro: è una scoperta che può diventare una crescita per tutti e con tutti. Proviamo insieme – ciascuno con le proprie capacità, con la propria storia, con la propria esperienza di chiesa – a vedere se riusciamo a metterci in cammino per annunciare Cristo ai giovani».
Che cosa significa “pastorale?”
Che cosa significa per te il termine “pastorale”? Questo podcast nasce per rispondere a questa domanda. Tu che risposta dai?
«Pastorale nasce dalla parola pastore: è l’atto del pastore e il pastore dentro una diocesi è il Vescovo. Mi pare che l’attività pastorale sia semplicemente mettersi dietro al pastore, dietro al Vescovo, dandogli una mano nell’attuare quello che è l’idea del cammino che lui vuol dare alla Diocesi. Io non invento una pastorale catechistica, per intenderci, come nessuno dei direttori degli uffici pastorali inventa una pastorale. La responsabilità della direzione da dare al gregge, se vogliamo continuare ad usare questa analogia evangelica, la stabilisce il pastore ed è sua responsabilità».
Se va bene o se va male…
«Nelle famiglie ci sono i genitori che si prendono la responsabilità di dare un indirizzo. Ecco, la Diocesi è una grande famiglia fatta da migliaia di persone che seguono il proprio pastore. Gli uffici pastorali si prendono carico di attuare quell’indirizzo, quella direzione, di capirla, di camminare un po’ più vicini al vescovo, di stare un po’ più al suo passo e poi cercare di attuarla nel proprio ambito».
come lo traduci nel concreto?
Tu come hai tradotto questo agire pastorale in termini di attività? Che cosa hai intenzione di fare?
«Quando penso a cosa significa annunciare Cristo ai ragazzi immediatamente mi pongo la domanda “Chi è Cristo per me?”. Perché io posso annunciare solo quello che ho incontrato. Io interpreto così il mio ruolo nella pastorale catechistica: vorrei, con chi vuole darmi una mano – non seguirmi, ma darmi una mano – innanzitutto capire che cosa vuol dire per i catechisti aver incontrato Cristo nella loro, nella nostra vita. E quindi cosa significa raccontare questa esperienza, la bellezza del seguire Cristo, a dei bambini di 7, 8, 10, 12 anni, ragazzi di 14, 15, 19, o agli universitari».
Si dice che dopo il catechismo i giovani spariscano dalla parrocchia, come se la cresima fosse un momento conclusivo anziché un inizio. Secondo te, da ciò che hai visto e sentito, è davvero così?
«Vorrei dirti di no, ma l’evidenza è questa. Anche il Vescovo lo ha detto molto chiaramente».
Dove sta il problema secondo te?
«Per quello che ho capito io il problema sta qui: i ragazzi che sono in formazione, in crescita, che stanno cominciando ad esplorare l’orizzonte dei loro “sé ideale” e del loro futuro, prendendo le distanze dai desideri semplici dei bambini (come “da grande voglio fare il pompiere…”) e che si stanno costruendo con fatica, dolore ed errori edificano il loro “io” guardando a qualcuno che quel pezzo del loro sé ideale lo incarni. Ora, per quello che ho osservato io, se non c’è qualcuno di affascinante che ti proponga Cristo, diventa difficile continuare a seguire Cristo. Se non emerge il fascino che Cristo ha esercitato nella mia vita, è difficile che possa mostrarlo a qualcuno. Rubo questa immagine che mi ha colpito molto, l’ho sentita dal professor Nembrini durante una sua conferenza qualche tempo fa: “Se siamo dentro al deserto e io sono sulla cima di una duna, ti guardo e ti incito a salire perchè al di là della duna c’è il mare, tu per fare quello sforzo lì devi vedere il riflesso del mare nei miei occhi, se no non ti muovi. Questo è un po’ secondo me non quello che manca, ma quello che magari si fa fatica a far vedere. Non sto dicendo che il catechista stia facendo un’esperienza “falsa”. Sto soltanto dicendo che per vedere il mare negli occhi del tuo catechista, il catechista in questione deve sforzarsi proprio di aprirli bene».
il tuo messaggio per…
Che cosa diresti ai catechisti che ci stanno leggendo?
«Riprendo proprio l’ultimo termine dell’intervento del Papa (vedi box a lato) la parola testimonianza che penso sia la parola chiave di qualsiasi conversione (almeno nella mia vita è stato così). Cioè uno decide di convertirsi, cioè di cambiare direzione, di ricentrarsi sull’essenziale, su Cristo, soltanto se vede che qualcuno gli testimonia che ne valga la pena. Ma c’è bisogno secondo me di uno o più testimoni, di una comunità di testimoni, che siano credibili, non perché sono perfetti – perché perfetto non è nessuno – ma perché prendono maledettamente sul serio la loro vita. Allora questo diventa una testimonianza».
Una citazione che possiamo portarci via da questa puntata, per riassumerla?
«Mi permetto di scomodare un teologo protestante americano, Reinhold Niebuhr, che ha detto una frase che mi pare significativa rispetto a come vorrei muovermi nel futuro prossimo: “Non esiste niente di più incomprensibile della risposta a una domanda che non si pone”.
Io posso annunciare Cristo ai ragazzi, ma se non c’è una domanda, un desiderio di Gesù, questo annuncio diventa uno sforzo enorme. Secondo me il primo punto è quello di far rinascere, ripulire, rifinire, dare un volto (in una parola, “educare”) a questa domanda che sta dentro il cuore dell’uomo e a cui Cristo dà risposta piena».
(intervista a cura di Enzo Governale)
LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
«Aiutare i bambini, i ragazzi, i giovani, gli adulti a conoscere e ad amare sempre di più il Signore è una delle avventure educative più belle, si costruisce la Chiesa! Essere catechisti! Non lavorare da catechisti, eh! Questo non serve! Io lavoro da catechista perché mi piace insegnare… Ma se tu non sei catechista, non serve! Non sarai fecondo!
Catechista è una vocazione: “essere catechista”, quella è la vocazione; non lavorare da catechista. Badate bene, non ho detto fare i catechisti, ma esserlo, perché coinvolge la vita. Si guida all’incontro con Gesù con le parole e con la vita, con la testimonianza».
La comunicazione è uno strumento pastorale? –INTERVISTA A ENZO GOVERNALE
Enzo, come mai le Comunicazioni sociali della Diocesi hanno dato vita a questo progetto?
«Con il passare del tempo alcune cose tendono a essere date per scontate ma in realtà l’unico modo per capire bene che cosa succede nella nostra diocesi è stare accanto a chi cerca di animarla attraverso gli uffici pastorali, parlare con loro. Anche se il giro di interviste non è terminato e mancano ancora alcuni responsabili, questo percorso è stato molto formativo non solo per capire che cosa si organizza ma anche quali sono le difficoltà di chi è chiamato a gestire un ufficio pastorale e che caratteristiche umane ha ogni persona».
Quale è stato il focus principale delle interviste?
«Parlando con i vari direttori degli uffici abbiamo cercato di definire che cosa significa pastorale: direi che c’è una buona uniformità di pensiero sul fatto che l’azione pastorale sia espressione dello stile e del voler bene di un pastore che accompagna il proprio gregge a Gesù. Ciascun direttore ha un rapporto con il Vescovo, un dialogo con lui e attraverso quel dialogo riesce a tirar fuori quelle che possono essere le attività e le proposte per il proprio ufficio».
Che cosa ti ha colpito di più del percorso che hai fatto con gli intervistati?
«Di sicuro l’intervista che mi ha colpito di più è stata quella con Mariangela Mazza, responsabile dell’Ufficio per la Tutela dei minori. Ci siamo ritrovati a parlare di un tema molto delicato cercando di farlo in maniera divulgativa, comprensibile, ma allo stesso tempo ci siamo resi conto che della tutela dei minori non si parla abbastanza. Te ne accorgi dall’imbarazzo che si crea quando bisogna parlarne, questo significa che non si ha abbastanza confidenza con quel tema e che quindi si deve entrare maggiormente nella formazione degli operatori pastorali e non solo».
Da questo primo giro di interviste che cosa secondo te è una necessità comune, che sentono tutti gli uffici?
«Un punto che è emerso in questo giro di interviste è che c’è un aspetto di solitudine del direttore dell’ufficio: non tanto perché non ci sia nessuno che lo aiuti nel suo lavoro, ma quanto perché è difficile poter incontrare le comunità alle quali offrire questo servizio pastorale. Bisognerebbe avere la possibilità di conoscere meglio i sacerdoti e le persone che vivono nelle unità pastorali per capire più a fondo quali sono i loro bisogni e le loro difficoltà, così da trovare il giusto modo di accompagnare le persone a Cristo, per conto del nostro Vescovo. Per me è stato bello poter dare uno spazio e un tempo ai vari responsabili degli uffici per raccontarsi non solo a me, cosa che mi ha dato l’occasione di approfondire il rapporto con loro, ma a tutti gli ascoltatori».