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Franz Jägerstätter in motocicletta davanti a casa sua ©Franz und Franziska Jägerstätter Institut/Diözese Linz

Franz e Franziska, non c’è amore più grande

Al Meeting di Rimini, dal 20 al 25 agosto

Se non siamo alla ricerca dell’Essenziale, allora cosa cerchiamo?“. È questo il titolo della 45a edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli (meetingrimini.org), in programma da martedì 20 a domenica 25 agosto presso la Fiera di Rimini. La manifestazione prevede tavole rotonde, mostre, spettacoli, iniziative culturali, sportive e per ragazzi. Tra le mostre in programma ce n’è una che racconta una storia d’amore vissuta nella fede e nel martirio: si intitola “Franz e Franziska, non c’è amore più grande“. È la storia di Franz e Franziska Jägerstätter, due contadini nel piccolo villaggio austriaco di Sankt Radegund nella prima metà del Novecento. Lui, Franz, è un giovane di belle speranze per il quale le bevute con gli amici, le corse sulle moto, le feste da ballo e le avventure con le ragazze del paese erano tutto; fino all’incontro con Franziska, che diventerà sua moglie. È anche, e soprattutto, la storia del loro incontro con Cristo, della scoperta della bellezza della vita coniugale, della gioia di una fede vissuta come pienezza di vita. L’avvento del nazismo e la guerra di Hitler travolgeranno tutto questo. Franz e Franziska, che ben comprendono la portata anticristiana del nazismo, decideranno di nuotare controcorrente, verso la fonte di quella gioia che avevano ormai conosciuto come senso ultimo della loro vita. Franz sarà condotto alla ghigliottina; Franziska ne difenderà la memoria fino all’età di 100 anni, potendo assistere, nel 2007, alla sua beatificazione. Il percorso della mostra è suddiviso in quattro sezioni nelle quali viene raccontata la vita di Franz e Franziska attraverso testi, foto storiche dell’Archivio diocesano di Linz, parti tratte dal film “La vita nascosta” di Terrence Malick e un video finale realizzato appositamente per la mostra con le interviste alla figlia Maria, alla biografa Erna Punz e al Vescovo di Linz, Postulatore della causa di beatificazione. Cuore dell’allestimento è la ricostruzione della casa dei coniugi, il focolare domestico, a cui i coniugi Jägerstätter guardano come punto di luce e di speranza.
Ne abbiamo parlato con Andrea Caspani (nella foto qui sotto), docente di storia e filosofia oggi in pensione, direttore di “Lineatempo” (rivista culturale umanistica online: lineatempo.eu) e curatore della mostra insieme con Daniele Bonvicini, Giovanni Boscolo, Rodolfo Casadei, Giorgio Cavalli, Giuseppe Emmolo, Luca Frigerio, Samuele Sanvito, Emmanuele Silanos e Danilo Zardin.

Caspani, perché una mostra sui coniugi Jägerstätter, e perché al Meeting di Rimini?

«L’anno scorso sul numero estivo di “Lineatempo” è uscito un dossier sui cammini di pace nel Novecento, in cui abbiamo raccontato diverse esperienze storiche di percorsi di pace in vari Paesi. In quell’occasione abbiamo anche dedicato una serie di articoli a Franz Jägerstätter, che ci era stato segnalato dal nostro collaboratore Giuseppe Emmolo. Jägerstätter, un semplice contadino, sposato e con tre figli, in nome di Cristo aveva avuto il coraggio di fare obiezione di coscienza durante il nazismo: pagando questa sua posizione con la vita, in un momento in cui la maggior parte dei cattolici austriaci accettava di entrare nella Wehrmacht, le forze armate tedesche. Considerato l’interesse che questa esperienza di vita aveva suscitato in noi, abbiamo provato a proporla ai responsabili del Meeting. E l’idea è piaciuta».

Lei che cosa ha imparato impegnandosi nella preparazione della mostra?

«La prima cosa che ho imparato è che per vivere fino in fondo la fede è necessario farsi abbracciare completamente da Dio, perché è solo così che uno può trovare la forza di compiere un gesto così deciso e controcorrente. E poi, che la fraternità fra coloro che cercano di vivere il cristianesimo è fondamentale: Jägerstätter questa scelta non l’ha fatta da solo, ma si è confrontato con la moglie Franziska, con i parroci e con il suo Vescovo. Ha vissuto un’esperienza di fede completa, capace di giudicare tutti gli ambiti della realtà».

Non avrebbe potuto “farsela andare” e rimanere cristiano lo stesso?

«Lui sosteneva che non si poteva rimanere “cristiani anonimi”, perché il nazismo non era un regime e basta: era proprio un’altra religione! È importante sottolineare che la scelta di Franz è maturata a seguito di un’assidua frequentazione dei sacramenti, con un confronto con la moglie e con la sua comunità, e seguendo le indicazioni della Chiesa dell’epoca. Jägerstätter ha mostrato che la fede autentica diventa cultura anche se non si è studiato tanto, e perciò permette di comprendere e giudicare il contesto in profondità e di vivere la responsabilità personale con decisione. Questo suo netto rifiuto del nazismo non era però frutto di uno sforzo morale ma il dono di una grazia particolare che lo ha portato a non giudicare nessuno, neanche chi faceva altre scelte. C’è una sua frase molto bella: “A noi tocca testimoniare Cristo ma non giudicare gli altri, neanche se si sono lasciati illudere dalle sirene del nazismo”. Questo atteggiamento di umiltà dimostra come in lui ci fosse veramente un rapporto diretto con Gesù Cristo, che gli ha dato la forza di affrontare un sacrificio del genere confidando nella potenza misteriosa di Dio. Questo lo documentiamo bene nella mostra, che vuol far conoscere tutto il percorso umano e cristiano di quest’uomo, Franz, e della moglie Franziska: una donna che morirà centenaria nel 2013, crescendo le figlie e vivendo una fede serena, decisa, profonda, nonostante il grande dolore. A lei è dedicato un pannello della mostra: “Il martirio di Franziska”».

Che cosa possiamo imparare noi cristiani del terzo millennio da questa testimonianza?

«Che l’indicazione del Concilio Vaticano II, ovvero il primato della coscienza nel vivere la fede, era già possibile anche prima delle affermazioni conciliari, se si vive una esperienza che abbraccia tutte le dimensioni della vita. Da sempre la fede cristiana conduce a una pienezza di vita capace di affrontare i periodi più bui con la pace e la letizia nel cuore. Anche di fronte ai sacrifici più grandi».

Lei sarà presente al Meeting: che evento è, e come inviterebbe un amico a partecipare?

«Il bello del Meeting è che nasce dal desiderio di diventare cultura, di diventare incontro per chiunque, credenti e non credenti. Non è una passerella per politici, ma un “mondo” di persone che vogliono costruire una prospettiva di bene comune. Concludo con un invito e una speranza: venite a trovarci, tra il 20 e il 25 agosto, non solo per visitare la mostra ma anche per il Meeting nel suo complesso. Qui si può avere l’occasione di conoscere persone con cui comprendere che la vita non solo ha un senso, ma è a tutti gli effetti lieta. Lieta, perché ci può far incontrare quello che cerchiamo per la nostra vita: il senso vero e pieno che contenga insieme verità e amore».

Andrea Antonuccio

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