Il Vescovo ha presentato in Cattedrale la sua decima Lettera pastorale
Dieci anni. Essendo questa la mia decima Lettera pastorale, e compiendo tra poco 10 anni di episcopato tra voi, ho pensato che nella prima parte fosse il caso di vedere quello che abbiamo imparato e di “metterlo insieme” per proseguire nel cammino che ci aspetta, soprattutto riguardo alle Unità pastorali. Nella seconda parte, invece, troverete alcune sfide concrete.
Punto di partenza: ossa inaridite. Per quanto riguarda il cammino da compiere insieme e quello che abbiamo vissuto in questi anni, sono ripartito dalle “ossa inaridite”, che era il tema del primo ritiro che ho predicato al clero quando arrivai, ed è stato l’argomento di una delle Lettere pastorali. Ma perché partire da qui? Perché è sempre così: come in ogni Messa, come in ogni Liturgia, la vita cristiana è segnata dalla dinamica del battesimo, cioè il passaggio dalla morte alla vita; anche la Messa è segnata dal passaggio dal peccato alla grazia di Dio, a essere Corpo di Cristo, come il battesimo. Non c’è una buona Messa se non c’è un buon riconoscimento dei peccati: Gesù non è venuto per i sani, ma per i peccatori. Quindi un buon cammino parte da un buon riconoscimento del nostro peccato, della nostra malattia, dei nostri problemi. Questo è il senso di ogni cosa che facciamo nella Chiesa, a cominciare dal battesimo: tutto, ogni giorno, fino alla fine della nostra vita, sarà un percorso dalla morte alla vita.
Incontrare Dio: Eucaristia e sacramenti, comunità, poveri e preghiera. Certamente per fare il cammino della vita cristiana abbiamo bisogno di incontrare Dio. E dove lo incontriamo? Nell’Eucaristia e nei sacramenti, nella comunità, nei poveri e nella preghiera.
Su Eucaristia e sacramenti, c’è una parte abbastanza consistente che va interiorizzata nelle comunità. La liturgia non è una bella cerimonia che facciamo insieme, ma è presenza viva di Cristo che opera nella sua Chiesa. Dobbiamo riprendere in mano saldamente questa convinzione, questa certezza di fede, se vogliamo vivere la nostra dimensione di Chiesa.
Altro punto importante è la comunità, che scandirà la nostra vita cristiana. La comunità ha da vivere quattro coordinate, che sono le coordinate dell’ecclesialità, di cui parla papa Francesco nella Catechesi dell’udienza generale del 25 novembre 2020: esse ci dicono se quello che facciamo è ecclesiale, oppure no. Può anche non esserlo… Cioè: la Chiesa non ha il monopolio del bene. Non è che se uno è nella Chiesa può fare il bene, e se non è nella Chiesa allora fa il male. E dunque, quando le cose che facciamo sono ecclesiali?
Quando sono segnate dalla perseveranza nell’insegnamento degli apostoli, nella comunione, nello spezzare il pane, nell’Eucaristia e nelle preghiere. Queste quattro coordinate saranno un po’ il riferimento per capire come vivere le attività della comunità cristiana. La comunità è fondamentale perché è la condizione per essere Chiesa. Noi sperimentiamo nella vita delle nostre parrocchie diversi livelli di aggregazione, di partecipazione: da quelli che vedi a Natale e a Pasqua, e non per questo pensi che siano “scomunicati”, fino a chi è più vicino e vive appieno la vita della comunità. Ma ogni comunità, per quanto allargata, deve avere al suo centro almeno un nucleo di persone che vive queste quattro coordinate altrimenti, come dice il Papa in modo drastico, «non c’è lo spirito».
Guardatevela quella catechesi, bellissima, del 25 novembre 2020, anniversario del mio ingresso: avevo il Covid, l’ho scoperta dopo! Quindi dove troviamo il Signore? Nella liturgia, nella comunità, nei poveri. I poveri sono un luogo di incontro del Signore. «Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”» (Mt 25,45). Quante volte è successo nella vita di un santo di dare aiuto a un povero e scoprire che era il Signore, o un angelo di Dio! Infine la preghiera, luogo evangelico in cui Gesù ha detto di essere presente: «Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). La preghiera è luogo di presenza del Signore Gesù.
Presa di coscienza. Noi abbiamo un cammino che ci attende nel nostro passaggio dalla morte alla vita: dobbiamo sapere che abbiamo bisogno di incontrare il Signore, che ci porta a guardare le nostre ossa inaridite là dove sono. Non si può partire e sperare di fare qualcosa di buono senza soffermarsi più di tanto. No, dobbiamo soffermarci su ciò che non va, perché è solo quando constati chiaramente cosa non va che capisci la grandezza di quello che Dio sta per fare. Sapete perché non vorremmo soffermarci tanto? Perché se no, diciamocelo, ci deprimiamo! Ma noi non siamo chiamati a “rimettere a posto”, noi siamo chiamati ad avere fede che Dio agirà. È per questo che Dio porta il profeta a vedere tutte le ossa: lo fa passare in mezzo e fa in modo che lui le veda tutte. Certo, è disperante: perché poi quando Dio dice al profeta: «Adesso profetizza su queste ossa!» allora diventa difficile (sorride). Ma ci vuole fede!
La fede. Dobbiamo soltanto avere fede. Come ci ricorda Gesù, in modo molto provocatorio, con quel papà che gli va a chiedere di andare a guarire la figlia che stava male. E Gesù parte, è circondato dalla gente che fa ressa: gli apostoli spintonano, cercano di far passare il Maestro in mezzo alla folla, e intanto quel padre capisce che il cammino sarà lungo, con la figlia che sta morendo…
Poi Gesù si ferma, in mezzo alla folla: «Chi mi ha toccato il mantello?». Pietro gli risponde, e Gesù si volta, esce fuori una donna: «Sono stata io», e racconta la sua storia. Poi ripartono, a un certo punto arriva un servo e dice al padre: «Guarda, non stare a disturbare il Maestro, tua figlia è morta». E Gesù, che sente, dice: «Non temere, continua solo ad aver fede». Notate quel “solo ad aver fede”, dopo che è morta una figlia… Gesù arriva davanti a quelli che stanno piangendo e dice: «La fanciulla non è morta, dorme». E tutti che lo prendono in giro. Capite? Ci vuole fede. Dobbiamo solo avere fede. Si potrebbe dire che è tanto.
Eh, sì, è tanto, ma dobbiamo stare al gioco di Dio. La nostra è una vita di fede: e se togliamo la fede dalla vita di fede, cosa ci rimane? Perciò, questa fatica è l’unica che dobbiamo fare con convinzione. Il Signore ha intenzione di operare la salvezza della nostra comunità, e lo farà. Noi lo crediamo, Signore Gesù. Cerchiamo di ascoltarTi e di capire come Tu lo vuoi fare. Sapendo che non è una cosa istantanea, che facciamo immediatamente dopo di che la nostra comunità sarà a posto. No, è un cammino: di guarigione, di liberazione, di santificazione che il Signore ci fa compiere. Che bello!
† Guido Gallese
Vescovo di Alessandria
(segue qui)
La nuova Lettera, ora disponibile
La Lettera pastorale è già disponibile a breve presso tutte le parrocchie. Qualora fosse esaurita, è possibile richiederne una copia presso la Curia vescovile. Sul sito diocesialessandria.itt il file pdf e il testo integrale