Vorrei segnalare anch’io ai lettori di “Voce” un agile e svelto volumetto dal titolo “Padre nostro che sei in galera”, con il sottotitolo “I carcerati commentano la preghiera di Gesù”, scritto da “fr. Beppe Giunti e fratelli briganti” e pubblicato a fine 2018 nella bella collana “Memoria e profezia” delle Edizioni Messaggero Padova. Lo segnalo per molte ragioni. In primo luogo, perché è un testo di spiritualità, che risponde bene a quel desiderio di Oltre che ognuno di noi porta con sé e che il contesto frettoloso e consumistico della nostra quotidianità non riesce (o non dovrebbe riuscire) a spegnere. Il libro costituisce un esempio di spiritualità incarnata, il cui nucleo è una settimana degli annuali “esercizi spirituali” che l’autore ha scelto di fare in carcere, in compagnia di quelli che, con Francesco d’Assisi, chiama i “fratelli briganti” e che diventano singolari coautori del volume. Beppe Giunti è un frate francescano attivo e molto conosciuto anche ad Alessandria, sia in quanto formatore all’interno delle cooperative Coompany e Coompany2 (che operano nei settori della povertà e del disagio sociale, con una particolare attenzione all’inserimento lavorativo e sociale di persone svantaggiate, e che attualmente gestiscono, tra l’altro, la Casa alpina “Pier Giorgio Frassati” a Saint-Nicolas e la “Maria Nivis” di Torgnon), sia in quanto legato alla nostra città anche per via di suo fratello Fulvio, mancato alcuni mesi fa e il cui ricordo resta molto vivo tra noi, fu per molti anni responsabile della programmazione sociale e sanitaria nel nostro territorio.
In secondo luogo, perché il libro fa riflettere attorno a un universo, quello della galera, che è spesso rimosso dal nostro orizzonte o, peggio, oggetto di banalizzazione e di luoghi comuni (anche da parte di noi cristiani, i quali pure dovremmo essere abituati all’”ero carcerato”, con quel che segue), quando non di vergognosa presa di distanza, come avviene in espressioni ormai dilaganti, come “sbattili dentro e getta la chiave”, esempio quasi unico di come mediante una frasetta di sei parole si riescano a violare almeno tre norme costituzionali …
In terzo luogo, lo segnalo perché è scritto bene, cosa che non guasta in un’epoca nella quale all’accresciuta facilità di esprimersi attraverso la scrittura, dovuta alla moltiplicazione delle opportunità editoriali e, più ancora, all’espandersi della Rete, non si è ancora accompagnata una corrispondente crescita della qualità linguistica e stilistica dei testi, con la conseguenza che molti scrivono, ma la lingua italiana non ne trae altrettanto giovamento. L’autore ha esperienza di docenza universitaria e solidi studi teologici, uniti a sobrietà francescana (Francesco è un po’ il filo rosso del libro, e anche questo non guasta). Le parole antiche del Padre nostro sono nel libro applicate all’esperienza e alla vita del luogo e delle persone dove gli esercizi spirituali si svolgono, appunto il carcere, e così risuonano con sempre maggiore fascino, diventando legame di vita trinitaria.
In quarto luogo, perché fra’ Beppe ha un acuto senso delle istituzioni e un amore consapevole e maturo per la Costituzione della Repubblica italiana, della quale percepisce e fa percepire lo stimolo permanente a non accontentarsi dei risultati raggiunti, ad andare al fondo delle cose, a osare e a scommettere per cause che sembrerebbero perse in partenza, e che invece appaiono tali soltanto perché non siamo capaci di uno sguardo più evangelico, più solidale. Non è buonismo, quello dell’autore, neanche quando si fa portavoce e promotore di giustizia riparativa, cioè di quella giustizia che non vuole sommare male a male, ma che usa il bene per restaurare il bene violato e violentato. I carcerati che incontra, con i quali condivide i pasti, con i quali prega e che confessa non sono mai idealizzati. Sono fratelli, ma briganti. Briganti, ma fratelli. Le formule della Costituzione, a partire da quella forse più celebre (art. 27, comma 3: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”) possono diventare costituzione vivente – l’esperienza raccontata nel volume lo dimostra – purché trovino lettori, ascoltatori e mediatori attenti. L’autore lo è, e ci interpella.
Infine, “Padre nostro che sei in galera” ve lo consiglio perché è scritto da un amico vero, che attraverso il volume mi auguro possa diventare amico di ciascun lettore, anche se ancora non conosciuto. Come ricordano, rispettivamente nella prefazione e nella postfazione del volume, Elena Lombardi Vallauri (direttrice della Casa di reclusione di San Michele) e Domenico Arena (già direttore a San Michele e attualmente dirigente dell’Ufficio interdistrettuale di esecuzione penale esterna di Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria), fra’ Beppe ha infatti, tra i tanti doni, anche quello di farsi con facilità fratello e amico.
Renato Balduzzi