Intervista a monsignor Guido Gallese
«Si tratta di cambiare mentalità, modo di pensare e vedere la realtà. Non si può tenere la mentalità del mondo e osservare il Vangelo»
Eccellenza, nel suo messaggio ai fedeli a pagina 6 lei scrive: «Questa situazione di prova è un tempo di maturazione della fede». Perché?
«Sono contento di aver scelto l’Apocalisse come testo di riferimento per la Lettera pastorale. Lo scenario che viviamo, erroneamente chiamato “apocalittico”, ci fa capire come questo testo sia una compagnia quotidiana della vita della Chiesa (Leggi anche: Il messaggio del vescovo di Alessandria a sacerdoti e fedeli sulla chiusura delle chiese per il coronavirus). Nell’Apocalisse, all’apertura dei Sigilli, dopo Cristo (il cavaliere che è sul cavallo bianco a cui viene data la corona e che deve tornare per vincere ancora) vengono presentati gli altri cavalieri: la guerra, la carestia e la morte. E di quest’ultima viene detto: “Mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l’Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra”. Passano i secoli e si continua a morire per le guerre, per la fame, per i morbi e per le “fiere”, contro cui non ci si può difendere. L’uomo, con il suo senso di grandezza e autosufficienza, in realtà si trova impotente. E allora può solo rivolgersi a Dio».
Perché?
«Gesù dice: “Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna” (Mt 10,28). Se avessimo un po’ di saggezza, ci renderemmo conto di non avere il controllo delle nostre sicurezze e di essere attaccati alla vita terrena. Ma la nostra scelta di fede diventa vera, non semplicemente “teoretica”, nel momento in cui viene messa alla prova, proprio come adesso. L’apostolo Giacomo dice: “Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la vostra fede, messa alla prova, produce pazienza. E la pazienza completi l’opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla” (Gc 1). Noi gli anticorpi spirituali ce li facciamo attraverso questi accadimenti, come il coronavirus (leggi anche L’infodemia della paura). Dice Pietro: “Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco – torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà” (Pt 1,6)».
Come è possibile una gioia, una letizia, in tutto ciò?
«Il Vangelo non è una questione di cose da fare, come sbrigativamente piacerebbe a noi: si tratta invece di cambiare mentalità, modo di pensare e vedere la realtà. Non si può tenere la mentalità del mondo e osservare i precetti evangelici. Questo cambio di mentalità ti fa vivere con letizia situazioni anche oggettivamente pesanti, come indicato dalle beatitudini del Signore».
Ma da soli non ci si riesce…
«Per questo c’è una “ecclesia”, una comunità. Gesù ci dà un modo diverso di vivere la vita, “capovolto”, da pazzi, che ci dà l’opportunità di trasformare il coronavirus in una Beatitudine. Quando seguivo i senzatetto a Genova, li benedicevo e loro piangevano. Il loro volto si rigava di lacrime, di pace: “Beati voi poveri”, “Beati voi che piangete”. Noi invece siamo “ricchi” e cerchiamo di arginare i fantasmi… ma questi non sono spettri, il coronavirus è una realtà! La pace vera è vedere la morte come una realtà, e la vita eterna anch’essa come una realtà, non come un’utopia. “Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 16,25). Certo, è una visione “vertiginosa” della vita. Ma il Vangelo è vertiginoso!».
Andrea Antonuccio