Intervista a suor Veronica Amata Donatello
Venerdì scorso l’incidente di Alex Zanardi ha colpito il mondo intero. Un uomo con una vita vissuta “al massimo”, anche dopo l’incidente in una gara automobilistica nel 2001 che gli è costato l’amputazione degli arti inferiori. Nemmeno questo ha fermato la sua voglia di sport: con la sua handbike ha vinto quattro medaglie d’oro ai Giochi paralimpici di Londra 2012 e Rio 2016. Adesso Alex lotta nuovamente contro la morte, e la sua storia ha acceso un faro sul tema delle disabilità. Non tutti sanno che esiste un “Servizio nazionale per la pastorale delle persone con disabilità”. A guidarlo è suor Veronica Amata Donatello (nella foto qui sotto), francescana alcantarina, 45 anni, di origine abruzzese. È lei la religiosa che abbiamo visto molte volte su Vatican media e Tv2000 per la traduzione nella Lingua dei segni delle parole del Papa durante le celebrazioni, gli incontri pubblici e i momenti di preghiera. Abbiamo chiesto allora a suor Veronica di raccontarci di più del suo servizio, partendo proprio dall’esempio di Alex Zanardi.
Suor Veronica, che cosa ci insegna Alex?
«Purtroppo non ho avuto l’occasione di conoscerlo di persona, ma credo che per molti rappresenti un punto di riferimento. Ci insegna che avere una disabilità non preclude il vivere una vita bella e piena. Credo che Alex ci dica che la vita ci offre dei problemi, e sta a noi come viverli. Se far parte delle vittime e di chi si piange addosso, oppure dire: “Non ho una gamba, ma ho tutto il resto, non sono un vuoto a perdere”. Questo suo stile di vita è uno stimolo per tutti, anche per me che non sono una sportiva (sorride)».
Cosa vuol dire ripartire dopo un incidente così grave?
«Da un lato c’è una resilienza che si forma con le prove della vita. Il non essere soli è fondamentale. Alex ha una moglie, una famiglia, degli amici al suo fianco. Questo rappresenta una sfida per la comunità cristiana: il Signore dice che il seme quando muore porta frutto, ma lo fa perché c’è una terra fertile, non fa tutto da solo. Siamo chiamati alle prove della vita ma, come direbbe papa Francesco, non dobbiamo lasciare indietro nessuno. Proprio in questo tempo abbiamo visto che ci si può salvare soltanto insieme: siamo tutti sulla stessa barca. Noi vorremmo un’esistenza chiara e schematica: 1, 2, 3, 4, 5… Poi però c’è la vita, c’è la realtà, che è più bella perché ci tira fuori doni, occasioni e capacità che magari non sappiamo di avere».
In una sua intervista lei dice: «Zanardi ha liberato lo sport paralimpico da una concezione pietistica restituendogli la dignità che merita». Ce lo spiega?
«“Una persona con disabilità è un poverino, uno sfigato”. Sinceramente penso che il 98% dei fedeli che vanno a Messa risponderebbe cosi. Credo che Alex ci faccia cambiare prospettiva, abbattendo questo pregiudizio. Ma questa visione, anche e soprattutto nei nostri ambienti, è distante. Perché si pensa subito: “Meno male che non è successo a me”. Si pensa che il limite sia più forte dell’essere persona. Alex ha “ripulito” questa idea, finta e bigotta, in cui non vengono considerati tutti i diritti anche alle persone con disabilità. Ma dove sta scritto che non abbiamo tutti gli stessi diritti?».
Quali attività svolgete per la pastorale con persone disabili?
«Stiamo lavorando su tutte le varie fasi della vita. Dalla scuola all’accessibilità di tutti i giorni, passando per un cammino dentro la comunità cristiana e a un inserimento nel mondo del lavoro, fino alla fase dell’età adulta. Stiamo lavorando molto con le Rsd (Residenze sanitarie per disabili, ndr) e i centri diurni, per far sì che ognuno abbia un progetto di vita che tenga conto di tutte le dimensioni dell’umano. Compresa la spiritualità…».
Ovvero?
«Quando si lavora con persone con gravi difficoltà intellettive, come per esempio l’autismo, è sbagliato pensare solo ai loro bisogni primari. È fondamentale anche il diritto alla vita, all’autodeterminazione, alla spiritualità. Stiamo lavorando per permettere loro di avere un cammino di fede, anche all’interno delle comunità. Proprio in questo periodo sono state presentate le linee guide per il rientro in parrocchia per le persone con disabilità. Ma anche chi vive con loro ha bisogno di un percorso di sostegno, soprattutto in questo momento di emergenza sanitaria».
Nell’emergenza come avete lavorato?
«Siamo stati molto a contatto con associazioni laiche, perché siamo una Chiesa aperta a tutti. Anche da questa situazione così difficile nascono molti germogli: le persone con disabilità sono state una risorsa fondamentale. Dall’aiuto agli anziani alla realizzazione di mascherine, fino al portare la spesa porta a porta. Come dicevamo prima, nella barca siamo insieme e non ci salviamo da soli».
Per lei che cosa significa questo servizio?
«Lo vivo con grande gratitudine. Per anni ho chiesto che la Chiesa si facesse carico di tutti i suoi figli. I miei genitori sono entrambi sordi e mia sorella è disabile intellettiva, quindi non so che cos’è una famiglia senza disabilità (sorride). Questo desiderio nel cuore, che a volte si trasforma in testardaggine, è diventato un dono grande. Posso dire che stiamo facendo un grande lavoro: a livello mondiale siamo d’esempio per tanti. Un’immagine che è fondamentale per il mio servizio è il quadro di Chagall “Mosè davanti al roveto ardente”. Mosè porta il popolo alla terra promessa, attraverso il suo corpo si fa carico della sua gente. Ecco, il mio “lavoro” è servire le persone che hanno difficoltà, fare un cammino mettendomi al loro fianco».
Un altro suo servizio è quello della traduzione nella lingua dei segni per le Messe e gli incontri del Papa.
«Questa è la mia lingua, la porto nel cuore. Già da Giovanni Paolo II ho la fortuna di seguire gli incontri dei Pontefici».
Qual è il Papa più difficile da tradurre?
«Sicuramente Giovanni Paolo II (sorride). Ma ognuno ha un suo stile, all’inizio è difficile seguire tutti, poi conoscendoli viene più facile tradurli».
Che cosa ha imparato da loro?
«Ognuno ha contribuito, ha lasciato un segno importante nella Chiesa. Giovanni Paolo II si è avvicinato al concetto di persona, dignità, accompagnamento, con uno sguardo anche al mondo dello sport e alla disabilità. Se penso a Benedetto XVI, penso a un magistero chiaro e ricco, in particolare riguardo ai Sacramenti. Francesco fa emergere l’accoglienza di una Chiesa aperta, in cammino. Ognuno di loro ci ha donato la sua profonda ricchezza».
Cosa manca alla nostra società per diventare più umana?
«Vedo che questa visione pessimistica nei confronti delle disabilità, sempre più, viene eliminata. Una delle cose belle di adesso è che le persone disabili stanno diventando membri attivi della società. Sono i primi a dire: “Siamo cittadini, battezzati, e vogliamo parlare come tutti”. Questo è bellissimo. A chi si avvicina ai disabili dico di comportarsi da fratelli: ci si educa insieme, si cresce e si cammina. È un dare e ricevere. Questo è fondamentale per costruire una società più umana e cristiana!».
Alessandro Venticinque
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