Quattro serate online con la professoressa Laura Verrani
Professoressa Verrani, come è arrivata a fare catechesi biblica?
«È stato un cammino, iniziato con la scelta di studiare teologia, motivata dal desiderio grande che avevo di conoscere tutto quello che riguarda il Signore e di dotarmi degli strumenti necessari per entrare nella Scrittura con una maggiore possibilità di coglierne la ricchezza».
Quando ha capito che era quella era la sua vocazione?
«La catechesi alle persone è arrivata dopo, un po’ per caso: il mio parroco di allora mi aveva chiesto di tenere un incontro. È andato bene, ed è stato l’inizio di un servizio che dura ormai da più di vent’anni. Il fatto che questa strada continui ad aprirsi mi fa capire che è quella giusta, insieme al vedere come le persone accolgano la Parola, la gustino, magari sorprendendosi nel constatare come dentro ci sia la loro vita».
Che importanza ha Sara per le donne del 2021? Che cosa possiamo imparare da lei?
«Credo che Sara ci possa rendere più sensibili al ruolo delle donne nella società, per il modo in cui il Signore stesso non si rassegna a vederla messa tra parentesi, lasciata indietro (in Egitto, a Gerar, “nella tenda” dietro ad Abramo), ma interviene puntualmente per rimetterla in gioco. Perché nessuna delle promesse fatte ad Abramo si compirà senza Sara. La storia della salvezza non si fa senza di lei: non senza le donne. Credo che questo sia significativo per noi, che ancora non lo abbiamo capito del tutto. Ci insegna anche a conoscere un Dio che ha a che fare con la capacità di “ridere” e dunque una fede radicata su un’esperienza non severa e composta, ma traboccante di gioia allegra».
Le donne dell’Esodo che rispondono al Faraone e custodiscono la vita chi sono? E oggi come si custodisce la vita?
«Le donne dei primi capitolo dell’Esodo sono le levatrici Pua e Scifra, la madre e la sorella di Mosè e la principessa egiziana. Sono ebree o egiziane, donne che vivono negli agi o in condizioni sociali svantaggiate, colte nei loro ruoli familiari o descritte mentre sono al lavoro (le levatrici). Le accomuna solo il fatto di essere di sesso femminile e di non considerare neanche per un attimo di obbedire agli ordini del Faraone. Custodiscono la vita disobbedendo a qualcosa che sentono ingiusto e assurdo, trattando un uomo di potere non come un Dio ma per quello che è davvero: un semplice uomo, che può dire stupidaggini (“buttate nel Nilo i figli degli ebrei”). Custodiscono la vita facendo ciò che è giusto. Credo che oggi come allora la vita si custodisca così: non cedendo alla sopraffazione e all’ingiustizia, ma difendendo piuttosto la fragilità, in qualunque forma si presenti».
Cos’ha da dire alle donne del nostro tempo l’incontro di Gesù con la Samaritana?
«Questo incontro è una miniera d’oro che offre moltissimi spunti, difficili da sintetizzare in poche righe. In generale direi che ogni donna in questo dialogo può scoprire il desiderio che Gesù ha di parlarci e anche quanto profondamente lui riveli e impegni se stesso in questo incontro, che è sempre liberante per le donne, qualunque sia la loro vita personale».
Ci racconterebbe due donne del Nuovo Testamento dalle quali possiamo trarre buoni spunti per la vita?
«Amo citare Evodia e Sintiche, normalmente sconosciute, ma a me molto care; ne parla Paolo nella lettera ai Filippesi; sono donne concrete, colte nel loro limite – Paolo interviene perché stanno litigando – ma di loro dice una delle cose più belle che sia stata detta delle donne in tutto il Nuovo Testamento: “Hanno combattuto per il Vangelo insieme con me, con Clemente e con altri miei collaboratori”. Per le donne di oggi, possono essere compagne di viaggio e madri nel cammino; non siamo perfette – come non lo erano loro – e nessuno dovrebbe idealizzarci, ma possiamo “combattere per il Vangelo”, cioè metterci in gioco nella Chiesa e nel mondo che abitiamo, “collaborando”, proprio come “Clemente e gli altri”».
Zelia Pastore