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Conflitto in Ucraina: vincere il male con il bene

Don Mariusz Swider ci racconta la sua esperienza “al confine”

«Ho appena celebrato Messa in ospedale, in questi giorni difficili ci sono tante persone che hanno bisogno». Don Mariusz Swider (nella foto qui sotto), 39 anni, vive a Siedlce, in Polonia, a una centinaia di chilometri dalla frontiera con l’Ucraina. Anche lì, in quella cittadina di 70 mila abitanti nel voivodato della Masovia, da due settimane stanno arrivando migliaia di profughi dall’Ucraina. Sono mamme e bambini che scappano dalla loro terra, ferita e bombardata dalla ferocia di questo conflitto. Don Mariusz è un volto conosciuto e amato, nella nostra Diocesi, in particolare nella parrocchia Madonna del Suffragio, che ha visitato diverse volte a partire dal 2011 e dove ha lasciato molti amici. Oggi, a Siedlce, è Prefetto degli studi al Seminario diocesano e docente di Sacra Scrittura, oltre che aiutante pastorale della Cattedrale e postulatore per le cause di beatificazione. Ci risponde al telefono e inizia subito a raccontarci quello che lui e i suoi concittadini stanno vivendo, in queste settimane di emergenza.

Don Mariusz, quante persone avete accolto?

«In Polonia sono arrivati quasi due milioni di profughi. Non posso dire quanti a Siedlce: tanti ucraini lavorano e abitano qui da anni, quindi amici e parenti si sono rifugiati da loro senza comunicarlo a nessuno. In queste tre settimane, il Comune ha registrato quasi duemila persone, che dopo la registrazione ricevono un codice, come quello della carta d’identità, che permette di avere un’assicurazione medica, un aiuto sociale dal Governo, ma anche un ulteriore sostegno per i bambini che verranno inseriti nelle scuole polacche. Le istituzioni si stanno muovendo per accogliere al meglio questi nostri fratelli ucraini».

In che condizioni arrivano?

«Sono appena tornato dall’ospedale: ci sono dieci persone ricoverate, tra cui cinque bambini. Ma ogni giorno arriva un’ottantina di persone: molti sono raffreddati, alcuni hanno il Covid, altri hanno bisogno di aiuto psicologico. Sono impauriti, si vede il terrore nei loro occhi. In maggioranza sono mamme con i bambini, spesso piccoli. Tocca il cuore vedere queste scene. Sono soli perché i loro mariti, fratelli e padri sono rimasti a combattere».

La vostra comunità si è mobilitata, allora.

«Abbiamo cercato di ospitare i profughi in alcune canoniche. Per esempio, la cappella della pastorale giovanile è stata convertita in centro di accoglienza, e anche una casa di esercizi spirituali è pronta per accogliere. Ma sono molte le famiglie che hanno aperto le porte della loro casa. Poi c’è il grande lavoro della Caritas diocesana, che ha organizzato due punti di ristoro in cui si cucina per i rifugiati: se non hanno cibo, viene dato loro un voucher e possono ricevere pranzo e cena. Si stanno organizzando anche pacchi con cibi a lunga durata. Ma non manca la cura pastorale: abbiamo cercato preti che sapessero anche l’ucraino per celebrare la Messa. La maggioranza dei profughi è ortodossa, ma ci sono anche fedeli greco-cattolici e cattolici. Io faccio il servizio nella Cattedrale, e la domenica vedo arrivare diverse mamme con i loro bambini. Nella Chiesa trovano conforto, sollievo e speranza».

Anche i tuoi amici “mandrogni” ti stanno aiutando…

«Sì, dalle pagine di Voce voglio ringraziare i tantissimi amici di Alessandria, soprattutto quelli della parrocchia Madonna del Suffragio. La loro generosità e bontà mi hanno commosso! Oltre alla preghiera, hanno voluto fare una bella donazione per i rifugiati. Ho già parlato con il direttore della Caritas locale: utilizzeremo questi soldi per preparare il cibo. Ma aiuteremo anche un’altra iniziativa, si chiama “Copri un soldato ucraino”: si tratta di donare ai soldati ucraini indumenti, kit di pronto soccorso, medicine, coperte. Non compriamo armi, ma doniamo loro quel che serve per poter sopravvivere».

La Polonia negli ultimi anni è stata spesso criticata per le sue “chiusure” sui migranti. Adesso sembra aver aperto le sue braccia.

«In questa situazione credo che venga sottolineata la differenza tra migranti e di rifugiati, ovvero quelli che scappano dalla guerra. La guerra ha aperto i cuori e le braccia dei polacchi, ci sentiamo più vicini culturalmente e religiosamente. Ma anche come storia: la zona dell’Ucraina a ovest era proprio parte della vecchia Polonia. Leopoli, per esempio, era una città polacca. Prima della guerra, più di un milione di ucraini lavorava in Polonia. Detto ciò, la gente si sente più generosa, e più sicura, ad accogliere dei fratelli. E poi questi rifugiati sono per lo più mamme e bambini. In altre situazioni c’erano ragazzi o uomini, e non ci si fidava. La differenza sta qui, credo».

Avete paura di un conflitto anche sul vostro territorio?

«Due giorni fa c’è stato un bombardamento a 30 chilometri dalla Polonia. Il frastuono si è sentito anche da noi! Sì, c’è tanta paura di una possibile guerra. La sentiamo vicina».

Mamme e bambini portano addosso il pesante fardello della guerra. Con un futuro difficile da costruire…

«In loro si vede la paura, che si scioglie con le lacrime. Non sanno se e quando torneranno a casa. Spesso le loro abitazioni sono già distrutte, non esistono più. Poi si vede anche la gioia commossa di essere accolti. Ho sentito una signora ucraina che mi ha detto: “Non pensavo di poter vivere in una famiglia sconosciuta e sentirmi veramente a casa”. E mentre parlava piangeva…».

C’è un’immagine che porti nel cuore?

«Ho visto un filmato di un bambino che camminava vicino alla frontiera piangendo, era solo. Un bimbo di massimo 5 anni, senza famiglia, senza casa. E senza speranza».

Noi, nel nostro piccolo, come possiamo comportarci di fronte al dramma della guerra?

«Non dipende da me cosa fa Putin, ma dipende da me ciò che posso fare quando arriva qualcuno che chiede aiuto. Il Vangelo dice di vincere il male con il bene. Ho sotto gli occhi questa lettura di Isaia: “Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova”. Questa è la risposta: facciamo il bene, in ogni modo in cui possiamo. Suor Faustina Kowalska diceva: “Dobbiamo fare misericordia con gli atti. Se non riusciamo con gli atti, facciamolo con le parole. Se non è possibile con le parole, allora facciamolo con la preghiera”. In un momento così difficile, è la cosa più ragionevole».

Alessandro Venticinque

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