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A sinistra: Giotto, "Santo Stefano" Firenze, Museo Horne A destra: Giotto, "San Francesco riceve le stigmate" Parigi, Museo del Louvre

Il diacono permanente? Non è un mezzo prete!

Pubblicate le Linee guida per la nostra Diocesi. Ne parliamo con don Beppe Bodrati

Come vi abbiamo già raccontato su Voce nel dicembre del 2023, riparte nella nostra Diocesi il cammino del Diaconato permanente rivolto ai laici, seguìto da tre sacerdoti nominati dal Vescovo per questo compito: don Emanuele Rossi, responsabile dell’accompagnamento spirituale; don Stefano Tessaglia, responsabile della formazione teologica; e don Giuseppe Bodrati (nella foto qui sotto), delegato per il diaconato permanente. Proprio a don Bodrati abbiamo chiesto di fare il punto della situazione, anche alla luce della recente promulgazione delle “Linee guida per la formazione dei diaconi permanenti nella Chiesa di Alessandria” (le trovate qui).

 

Don Beppe, parto con una provocazione: il diacono permanente non ti sembra un “mezzo prete”?

«La prassi secolare della Chiesa, per la quale il diaconato, primo gradino del sacramento dell’ordine, era considerato una tappa di formazione verso il sacerdozio, ha creato una mentalità secondo la quale il diacono, se non diventava sacerdote, era considerato una vocazione incompleta. Quando nel 1967 il Concilio Vaticano II ha ripristinato il diaconato nella forma permanente, ha costretto a “ripensare” la forma del ministero ordinato in quel grado».

Non mi hai ancora risposto…

«Il diacono sostituisce il sacerdote in alcune funzioni ministeriali: amministra il battesimo, benedice le nozze e presiede le esequie. Non gli è permessa la confessione, l’unzione e la celebrazione dell’eucaristia. Forse questo ha generato un po’ di confusione… si è dimenticata la natura propria del diaconato come ministero ordinato per il servizio. Insomma: non stiamo parlando di un mezzo prete, ma di un diacono intero (sorride)».

Il diacono, almeno su certi aspetti, non fa “concorrenza” a voi sacerdoti?

«Assolutamente no! Anzi, quando il diaconato viene compreso nella sua vera natura diventa il ministero che anima tutta la comunità verso la carità. Non è soltanto aiutare gli altri, o servire in mensa, per esempio: ma è la missione attraverso la quale si fa l’annuncio. Il diacono dunque aiuta la sua comunità a riscoprire la virtù della carità, cioè l’amore di Dio verso gli altri, ma con la “modalità” di Dio. Infatti nelle Linee guida che il Vescovo ha promulgato si ricorda che, cito testualmente, “inizialmente il compito dei primi sette Diaconi era di presiedere all’organizzazione delle opere caritative, ma ben presto lo spazio del loro ministero si ampliò notevolmente. Nello stesso capitolo (6,8-15) e in quello successivo (7,1-60), infatti, Luca ci presenta Stefano, primo martire della Chiesa, intento alla predicazione della Parola di Dio e ancora Filippo «che annunziava la Buona Novella del Regno di Dio […] a tutte le città» (8,12.40) e «uomini e donne si facevano battezzare» da lui (8,12)”».

Il primo capitolo delle Linee guida si intitola “Il diaconato nella Chiesa”.

«Inizia con la presentazione del diaconato presa dalla Sacra Scrittura, e prosegue con un profilo teologico e spirituale nel quale il nostro Vescovo sottolinea come il diaconato appartenga, al pari di ogni altra vocazione, alla vita della comunità: appartiene al sacramento dell’ordine, che lo configura a Cristo in forza della grazia dello Spirito. Una configurazione non per il sacerdozio, ma per il ministero, cioè per il servizio. Papa Francesco ha ricordato che il diacono è il “custode del servizio della Chiesa”. Ti dirò di più: come dicono le Linee guida, “compito del Diacono è di essere «interprete delle necessità e dei desideri delle comunità cristiane» e «animatore del servizio, ossia della diaconia», che è «parte essenziale della missione della Chiesa. […] In quanto grado dell’ordine sacro, il diaconato imprime il carattere e comunica una grazia sacramentale specifica, che configura chi è ordinato a Cristo, il quale si è fatto diacono, cioè servo di tutti» (Norme fondamentali, nn. 5.7)”».

Mettiamo un attimo da parte questo “ecclesialese”, e proviamo a spiegare in termini più comprensibili il contenuto di questa vocazione.

«Va bene! Se consideriamo il diaconato nel senso del “fare”, non c’è bisogno del sacramento dell’ordine per prestare un servizio di carità. Se invece lo consideriamo all’interno del popolo di Dio come esercizio della virtù della carità, allora è un arricchimento legato alla Grazia che il Signore dona per conformare a Sé il servizio come segno. Perché la carità esercitata da un ministro ordinato è una carità esercitata come virtù nel nome di Colui che quella virtù ci ha donato».

Quindi stai dicendo che chi esercita la carità ma non è consacrato fa qualcosa di incompleto.

«Certo. Nel senso che vive di più la dimensione della solidarietà, intesa come filantropia, che in fondo tutti possono esercitare. È una cosa positiva, certamente, ma non ha un particolare rilievo nella costruzione della comunione ecclesiale».

Parole pesanti.

«Ma sono la verità della nostra fede. Pensaci un attimo: dar da mangiare a un povero è un’azione lodevole, giusto? Ma che lo faccia un cristiano o un non cristiano, non cambia molto».

Mah… E se invece lo fa un diacono?

«Se invece lo fa un diacono, è la grazia del ministero che rende ancora più fecondo quel servizio che tutti in forza del battesimo possono fare. Ma che con il sigillo dell’ordine aiuta a costruire la virtù della carità».

Ci ritorneremo. Nel frattempo, penso a uno dei più noti e commoventi diaconi della Storia della Chiesa, san Francesco. E, ben prima di lui, a santo Stefano, il primo martire di Cristo. Voi promettete agli aspiranti diaconi di diventare santi come loro?

«Noi non possiamo promettere nulla (sorride) ma ci impegniamo ad aiutare gli aspiranti diaconi a vivere un percorso di formazione che li porti a condividere la passione per la carità nella sua dimensione più ampia, che passa attraverso anche la liturgia, la Parola, la predicazione e la celebrazione di alcuni sacramenti che vanno sempre vissuti nell’ordine della gratitudine al Signore per il dono che ci dà: la comunione ecclesiale, con la Chiesa e nella Chiesa».

Diversi candidati hanno iniziato questo cammino di discernimento in Diocesi. A che punto siete?

«Ci siamo già incontrati alcune volte. Celibi o coniugati, hanno manifestato al loro parroco il desiderio di approfondire il tema della vocazione al diaconato. Ho visto persone animate da buona volontà, fede certa e spirito di servizio. In questo periodo stanno sostenendo il colloquio finale relativo al primo anno di discernimento. Dal mese di settembre partirà la formazione filosofico-teologica in collaborazione con la Diocesi di Acqui, da cui provengono due candidati».

L’identikit degli aspiranti diaconi?

«Tra i 40 e i 50 anni di età, sono persone che lavorano in vari ambiti. Gli sposati condividono il percorso vocazionale con le loro mogli, che partecipano agli incontri spirituali. Ma non a quelli culturali».

Ultima domanda, forse la più decisiva: come faccio a capire se ho questa particolare vocazione?

«Non ci sono automatismi. Conta sicuramente la tua fede, espressa nella tua comunità e con la tua comunità. È importante che tu abbia davanti agli occhi la testimonianza di un consacrato credibile nella fede. E che manifesti la gioia del ministero che vive».

Andrea Antonuccio

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