Un cammino insieme
con il Risorto
compiuto con i piedi e con il cuore
Commento al Vangelo di Domenica 29 aprile 2017
III Domenica di Pasqua
L’episodio dei discepoli di Èmmaus, caratteristico del vangelo di Luca, è una di quelle pagine che le generazioni cristiane non cessano di leggere e rileggere, catturate dalle ricchezze letterarie, teologiche e spirituali del racconto.
È un cammino quello che il Risorto fa compiere ai due discepoli disperati, attraverso tappe ben definite.
C’è un primo incontro, senza tuttavia che Gesù sia riconosciuto. Il discorso che i discepoli rivolgono allo sconosciuto è quasi un riassunto, riflesso forse di una catechesi della chiesa primitiva, dell’esperienza che essi hanno fatto di Gesù: la sua vita e i suoi miracoli, il processo e la sua morte in croce, lo sconcertante sepolcro vuoto.
I due discepoli, vediamo, sono ormai convinti che con la morte di Cristo tutto si finito: il sospetto (figurarsi la speranza) della risurrezione non li sfiora neppure: “Noi speravamo”, è la loro sentenza, che equivale a dire “Ora non speriamo più”, sottolineando che le “speranze” di una “liberazione” di Israele sono crollate per sempre! Questo ultimo riferimento ci è utile per comprendere quale tipo di Messia i due discepoli, insieme a tutti gli altri, si aspettavano: un Messia potente, che avrebbe schiacciato con il suo braccio i nemici e avrebbe dominato su ogni cosa. Tutto il contrario, cioè, di quello che era avvenuto sulla croce; di qui la comprensibile crisi, che aveva spento ogni loro speranza.
Vi è poi il cammino, durante il quale il Signore propone ai discepoli quasi una “liturgia della Parola”, che sottolinea la corrispondenza degli avvenimenti della morte e risurrezione di Gesù con il disegno di Dio, spiegato proprio attraverso la Scrittura. Ciò che creava scandalo ai discepoli, spiega Gesù, faceva parte del disegno di salvezza di Dio: infatti “Bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria”. Quello che a loro era apparso come il fallimento di ogni speranza o la fine di ogni progetto, in realtà era l’inizio della gloria, della vita nuova che ormai avrebbe per sempre avvolto il Risorto.
Il fallimento
era l’inizio
della gloria
Quel cammino è compiuto dai due non soltanto con i piedi ma soprattutto con il cuore e, se in un primo momento, il Risorto rimprovera con forza l’accecamento dei discepoli (“Stolti e lenti di cuore”), l’ascolto della Parola riscalda a poco a poco il loro animo: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore, mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?”, si chiedono l’un l’altro…
Luca ci guida poi al riconoscimento di Gesù: mentre il compagno di viaggio, ancora sconosciuto, conversava con loro e spiegava le Scritture, i due si sentivano “ardere il cuore”, ma solo “Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro… si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero”. Cosa significhi questo che è un gesto eucaristico, lo spiega bene S. Agostino: “Vediamo, fratelli, dove il Signore ha voluto farsi riconoscere: nello spezzare il pane. Siamo sicuri: spezziamo il pane e riconosciamo il Signore. Solo lì ha voluto farsi riconoscere, per noi, che non l’avremmo visto nella carne, ma avremmo mangiato la sua carne. Dunque lo spezzare il pane è ciò che ci consola. L’assenza del Signore dopo la morte e la resurrezione non è vera assenza; abbi fede, colui che non vedi è con te”.
Vi è infine nel vangelo il ritorno dei discepoli a Gerusalemme che esprime bene il bisogno imperioso (“senza indugio”) della condivisione e della testimonianza da parte del discepolo che, oltre ogni speranza umana, ha incontrato Gesù vivo: “Davvero il Signore è risorto!”.
don Stefano Tessaglia