«La Chiesa esiste per annunciare il Vangelo, solo per quello! E anche, la gioia della Chiesa è annunciare il Vangelo»; con queste parole papa Francesco, il 28 maggio scorso, ha ricordato il compito più importante dei credenti, facendo eco alle parole già scritte da Paolo VI nel 1975: «Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare» (Evangelii nuntiandi, 14). In effetti se ripercorriamo nel Nuovo Testamento, le origini della Chiesa, e poi seguiamo passo passo la sua storia, il suo vivere e agire, ci rendiamo conto che la comunità dei discepoli è legata all’evangelizzazione fin dalla sua radice. La Chiesa, infatti, nasce dal Vangelo annunciato da Gesù e poi dagli apostoli e riceve da Cristo questo mandato grande e straordinario: «Andate dunque, fate dei discepoli in tutte le nazioni» (Mt 28, 19). Nata dalla missione di annuncio di Gesù, la Chiesa è, a sua volta, inviata ad annunciare, mentre resta nel mondo a continuare la Sua opera. San Paolo, forse il più grande missionario della storia, così vive il suo ministero di “inviato”: «Annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1Cor 9,16). La missione di evangelizzatore, espressa in questi termini – non nata da una propria iniziativa, ma da una chiamata di Dio – diventa così la vocazione ad una nuova vita, una grazia che irrompe nella sua esistenza e lo spinge ad annunciare il Vangelo, come una “necessità” impellente, un turbine che coinvolge e sconvolge. Magari fossimo anche noi incapaci di trattenere la forza del Vangelo, per vivere la testimonianza come una necessità irrefrenabile! Papa Francesco, in questo senso, ha più volte ricordato l’insegnamento del Santo poverello di Assisi: «Sapete che cosa ha detto S. Francesco una volta ai suoi fratelli? Predicate sempre il Vangelo, e se fosse necessario anche con le parole! Ma, come? Si può predicare il Vangelo senza le parole? Sì! Con la testimonianza! Prima la testimonianza, dopo le parole!». Ecco un programma di annuncio del Vangelo attuale nel 1200 e certamente attualissimo ai giorni nostri, ingolfati dall’eccesso di parole: prima la testimonianza, prima una vita buona condivisa con i fratelli, portando gioia e pace, poi, se servono, anche le parole! A questo insegnamento si ricollega Paolo VI, ancora nella Evangelii nuntiandi, il più importante documento sull’evangelizzazione, che papa Francesco invita spesso a rileggere: «La comunità dei cristiani non è mai chiusa in se stessa. La vita di preghiera, l’ascolto della Parola e dell’insegnamento degli Apostoli, la carità fraterna, il Pane spezzato, non acquista significato se non quando diventa testimonianza, provoca l’ammirazione e la conversione, si fa predicazione e annuncio della Buona Novella» (EN, 15). Non si tratta qui, alla fine, di puntare tutto sulla testimonianza e sulla carità, dimenticandosi poi di predicare la fede, come qualcuno spesso critica; si tratta piuttosto di tenere insieme la vita e la parola, in modo sapiente, perché siano in sintonia e non in contraddizione. Lo stile ecclesiale da far crescere è quindi quello proposto e testimoniato da papa Francesco in questi anni, quello di una Chiesa in ascolto, “in uscita”, chiamata a spendersi per la persona nei diversi ambiti di vita, nelle “periferie esistenziali” che sono oggi la priorità della comunità cristiana, per cercare l’incontro e il dialogo con tutti. Da qui passa anche l’annuncio del Vangelo.
Stefano Tessaglia