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Vescovo Guido: «Ogni euro in più è per noi una possibilità di compiere il bene»

Eccellenza, domanda iniziale un po’ “strana” (ma neanche troppo): lei è favorevole all’8xmille?
«Certo che sono favorevole. Innanzitutto partiamo da una considerazione di ordine storico. Una volta la Chiesa garantiva il suo mantenimento attraverso dei possedimenti dai quali ricavava i soldi per le sue attività. Certamente si è arrivati anche a degli eccessi nella quantità di beni posseduti. Tuttavia, grazie soprattutto al nostro concittadino Urbano Rattazzi, la Chiesa è stata spogliata di tutto dal Regno sabaudo e poi dall’Italia. D’altronde, fare l’Italia aveva un costo… si capisce bene che l’unica categoria che si poteva colpire per rifarsi delle spese, senza innescare una rivoluzione, era quella del clero e dei religiosi. Essi vissero un grave disagio perché, soprattutto per i religiosi, lo Stato non può dire: “Siete inutili, andatevene a casa!”: un religioso che non possiede più nulla non ha più neanche una casa, e nel momento in cui il suo ordine viene soppresso e i relativi beni incamerati dallo Stato, si trova improvvisamente senza nulla. Per ovviare a questo problema, e al bisogno delle figure dei pastori e dei religiosi da parte del popolo italiano, si è arrivati ad alcuni accordi, come il Concordato del 1929 e la revisione del 1984, in base ai quali lo Stato, riconoscendo di aver privato la Chiesa del suo sistema di sostentamento, stipendiava perlomeno i parroci. Questo stipendio era un’inezia a fronte della rendita dei patrimoni confiscati. Con il tempo, e mutando le necessità, si è voluto riformulare l’impegno economico dello Stato con l’8xmille, che da alcuni è molto osteggiato. Come se fosse un privilegio, dimenticandone l’origine».

A che cosa serve l’8xmille?
«Serve a pagare l’integrazione dello stipendio dei sacerdoti della nostra diocesi. In realtà, solitamente l’integrazione copre la quasi totalità dello stipendio del sacerdote poiché le parrocchie non sono in grado di contribuire in modo rilevante al mantenimento del loro parroco, a tal punto che in numerosi casi i sacerdoti non prelevano nemmeno la quota spettante di stipendio dalle casse della parrocchia a causa dei gravi problemi di bilancio. Sempre attraverso la Cei vengono erogati contributi alle parrocchie attraverso l’8xmille per il restauro delle chiese e delle opere parrocchiali. Si tenga presente che, per legge, qualsiasi bene della Chiesa, anche acquisito in un secondo tempo, è vincolato come bene artistico, anche se prima dell’acquisto non lo era. Ogni lavoro su ogni bene è soggetto ai vincoli dei beni culturali, diventando estremamente faticoso nella gestione ed estremamente oneroso economicamente. Alla diocesi viene data annualmente una somma prelevata dall’8xmille destinata a due finalità: la carità, e il culto e la pastorale».

Che cosa direbbe a un “indeciso”, per convincerlo a firmare per l’8xmille alla Chiesa cattolica?
«Direi di guardare alle cose che riusciamo a fare attraverso questi soldi, in primis per l’attività caritativa: la gestione oculata e la capacità di coinvolgere persone nel servizio ai poveri da parte della Chiesa fa sì che i soldi vengano utilizzati in modo efficace e attirino ulteriori investimenti e offerte da parte dei fedeli. Non altrettanta sensibilità riscontriamo in altri campi pastorali la cui importanza è tuttavia fondamentale, come quello della Pastorale giovanile: attraverso la presenza capillare delle parrocchie la Chiesa è l’organismo educativo più efficace sul territorio dopo la scuola, sulla cui capacità educativa, tuttavia, potremmo fare numerose considerazioni. Ogni euro in più è per noi una possibilità ulteriore di fare del bene».

E che cosa accadrebbe se un giorno l’8xmille venisse revocato?
«Accadrebbero diverse cose. La prima è che la Chiesa dovrebbe stipendiare i preti, e ciò porterebbe a incanalare tutti i soldi in quella direzione, peraltro senza riuscire a raggiungere a breve termine un risultato sufficiente. Non si avrebbero più risorse per aiutare i poveri: ricordiamo che l’ossatura caritativa principale in Italia è la Chiesa Cattolica. E sarebbero i poveri, come al solito, a fare le spese di miopi visioni ideologiche. Inoltre, il mantenimento dell’immenso patrimonio artistico e culturale dell’Italia, costituito quasi totalmente da beni ecclesiastici, diventerebbe molto più oneroso per lo Stato. Le offerte dei fedeli verrebbero focalizzate sul mantenimento dei sacerdoti, per cui non si avrebbe quella capillarità di raccolta di offerte che attualmente è un’entrata non trascurabile per il mantenimento del patrimonio artistico».

A cura di Carlotta Testa

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