Chiara Ferrazzi ha partecipato all’incontro di Torino e Roma insieme con gli altri giovani del gruppo scout Agesci Valenza 1 e della diocesi di Alessandria.
Chiara, cosa ti ha lasciato l’esperienza di questa estate?
«Non è una domanda semplice. Questa è stata un’esperienza molto forte. Alla partenza mi sono domandata cosa aspettarmi, ma non ho saputo rispondermi. Sicuramente non sono tornata a casa come prima, come in tutte le esperienze».
Cosa ha voluto dire per te metterti in cammino?
«Tutta la mia vita è un mettersi in cammino. Tutti i giorni ci mettiamo in cammino per qualcosa di nuovo. È una salita e dopo una salita c’è una discesa. Sicuramente se si è insieme si riesce a condividere i pesi, le gioie e i dolori. Io, a differenza di altri che hanno camminato anche nelle settimane precedenti, ho fatto meno cammino ma l’ho sentito molto. È stata un’esperienza forte perché non era solo strada, ma strada e fede».
Quali emozioni hai provato davanti alla Sindone?
«Amore e gioia, più che dolore. Spesso si pensa al fatto che Lui abbia sofferto per noi. Prima di vedere la Sindone, ci hanno fatto vedere un video sulla passione di Cristo, che abbiamo collegato al dolore. Ma arrivati lì, davanti alla Sindone, tutto si è placato, ho sentito un’emozione di gioia e amore che ha ricoperto tutto il dolore».
Il Papa al Circo Massimo ha chiesto ai giovani di trasformare i sogni di oggi nella realtà del futuro, e per questo ci vuole coraggio. Secondo te, la tua generazione ha ancora il coraggio di sognare?
«Dipende dagli aspetti. Il Papa ha detto che gli adulti hanno paura dei sogni dei giovani, spesso loro hanno un’autocritica di fronte ai nostri sogni. Ma nello stesso momento noi arriviamo ai sogni solo quando sono facili da realizzare. Ci mettiamo in gioco solo quando si fa meno fatica, anche a coinvolgere le persone. Ha pienamente ragione il Papa quando dice che siamo giovani da divano».
Il momento che ti ha “lasciato il segno” nel viaggio a Roma?
«Quando il Papa ha chiesto silenzio per riflettere al Circo Massimo davanti a 70 mila giovani. Nel giro di un minuto, o anche meno, c’è stato silenzio. Questa cosa mi ha fatto venire la pelle d’oca, perché non ho mai sentito così tante persone che facessero silenzio in così poco tempo. Anche perché si percepiva che tutti stavano riflettendo. Non era un semplice silenzio, era un silenzio carico».
Alessandro Venticinque