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Il Papa che ha cambiato la Chiesa

Non ci fu nessuna sorpresa quando, dopo il cardinal Suenens, parlò il cardinal Montini, il 5 dicembre 1962, per chiedere che si riscrivessero tutti i documenti del Concilio a partire da un presupposto: la Chiesa a intra e la chiesa a extra. Divenuto Paolo VI, alla morte di Giovanni XXIII, riprese in mano il Concilio: si disse allora che ci voleva un profeta per indire un Concilio, e un uomo molto pratico per continuarlo. Poiché, nonostante l’apparente fragilità, era un uomo molto pratico, soprattutto con i suoi gesti. Lo si vide quando, in un momento difficile per Maritain, su cui pendeva una condanna del S. Ufficio, gli consegnò, alla fine del Concilio, la lettera diretta agli intellettuali. Era concepibile che dopo un gesto del genere quella condanna venisse pronunciata? Aveva avocato a sé, e quindi preferiva che non se ne parlasse in Concilio, il problema del celibato del clero e il problema della pillola anticoncezionale. In poco tempo, avrebbe pubblicato un’enciclica sui due argomenti.

Il secondo lo fece particolarmente soffrire, poiché, nonostante l’apparente umanità del mondo cattolico, sapeva benissimo che tale umanità era solo apparente, e molti vescovi e preti non erano d’accordo. Ma questo non gli impedì di seguire la propria coscienza. Fu molto contestato durante la vita, anche da quanti poi cambiarono opinione e lo considerano uno dei più grandi papi del Novecento. Come disse una volta Mazzolari, aveva le gambe troppo lunghe ed era impossibile andargli dietro. Ma questo è il destino di molti profeti. Paolo VI visse in un periodo difficile anche per la Chiesa, un periodo in cui venne approvato il divorzio e la sua conferma, in cui molti giovani svilupparono la loro fede nelle comunità di base, un periodo in cui si sviluppo il centro-sinistra, contestato, il Partito Socialista, dalla nascita del Partito di Unità Proletaria, un periodo in cui cominciò ad andare in crisi (se mai vi era stata) l’unità politica dei cattolici, nata attorno a De Gasperi e condivisa da monsignor Montini, allora al servizio della Santa Sede.

Da Papa, tra le tante sue sofferenze, due ne segnarono in modo particolare il suo pontificato: quella di essere indicato, da due cardinali, come quasi-eretico, e quando disse che il «fumo di Satana» era entrato nella Chiesa. Visse in un periodo non molto facile per la Chiesa, un periodo in cui andarono in crisi tutte le istituzioni e in cui furono addirittura occupate delle chiese. Ma si trattò di un periodo in cui le varie Chiese cristiane si avvicinarono, al punto tale che furono possibili incontri assolutamente impensabili pochi anni prima. Negli ultimi anni della sua vita, ebbe la sofferenza di vedere rapire dalle brigate rosse il suo amico Aldo Moro. Supplicò in ginocchio per la sua liberazione. Il testo che pronunciò al funerale dello statista rappresenta il vertice di ciò che un Papa può dire: «Noi ti abbiamo pregato, ma Tu non ci hai ascoltato». Quasi rimproverò Dio di non averlo esaudito, quando pregava per quell’uomo buono e amico. Portava il cilicio, e nessuno ne seppe nulla se non dopo la sua morte. È abbastanza singolare che Roma intervenga per santificare Paolo VI e monsignor Romero, il vescovo salvadoregno che a Roma aveva trovato un interlocutore proprio in monsignor Montini. Consumato nel fisico e forse nell’anima (ma vi sono espressioni nelle sue note manoscritte che fanno pensare tutto il contrario) quasi si scelse il giorno in cui morire: il 6 agosto 1978. Quell’anno il 6 agosto era il giorno della Trasfigurazione. Poteva scegliere meglio, per vivere quel giorno in cui Gesù si trasfigurò davanti ad alcuni dei suoi apostoli?

don Maurilio Guasco

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