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Come possiamo “vivere” la morte?

Di morte, sui giornali, non si parla mai. O meglio, si raccontano le morti avvenute negli articoli di cronaca nera; si parla del “fine vita” e del poter decidere quando morire e non si considera morte la “fine della vita” di un feto. Della morte ci interessa l’aspetto sociale, ci interroghiamo sul cosa resta perché, lo sappiamo, prima o poi bisogna morire. Dio entra nella morte proprio per questo motivo, perché è parte del cammino di ogni suo figlio. Ma dalla morte risorge come un germe di vita inesauribile. Morire porta frutto, come il chicco di grano, come la croce. Ma questo portare frutto necessita di un forte cambiamento di forma: dal seme al germe, dalla gemma al fiore, dal fiore al frutto e dal frutto al seme. Questo non vale solo per la morte fisica, vale ogni volta che si “muore a se stessi”. Anche questa morte porta dolore e ferite profonde, molte lacrime e momenti di buio, solitudine, un continuo chiedersi dove si è sbagliato. Ma anche perdono sincero, piccoli miracoli di speranza, dei “grazie” inaspettati. E poi rispetto della libertà altrui, per quanto questo voglia dire lasciare andare. La vita di ciascuno di noi è piena di “vita” e di “morte”, di passaggi che, una volta attraversati, cambiano la forma della nostra stessa esistenza, esattamente come è stato per Gesù, che ci ha dimostrato che solo l’Amore può “tirarci giù” dalla croce.
Cari amici, abbiamo una certezza: morendo a noi stessi porteremo frutto e tutto verrà centuplicato.
Buona morte a tutti!

Enzo Governale
@cipEnzo

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