Nel 1996 un dirigente di azienda del Nord Italia fu condannato, poiché reo di sproloqui antisemiti (violazione della legge n. 654/1975) a leggere dodici libri sulla storia degli ebrei. La motivazione diceva: “perché alla base di certe manifestazioni antisemite ci sono spesso ignoranza e preconcetti”. L’elenco è ancora attuale: “Il mito ariano” di Léon Poliakov, ”In quelle tenebre” e “In lotta con la verità” di Gitta Sereny, “Storia degli ebrei italiani durante il fascismo” di Renzo De Felice, “La banalità del male” di Hannah Arendt , “Ebrei e pregiudizio” di Calimani, “I falsi protocolli” di Sergio Romano, “Uno su mille” di Alexander Stille, “L’antisemitismo” di Sartre, “Storia degli ebrei” di Paul Johnson, “Gli ebrei a Venezia” di Renata Segre, “La distruzione degli Ebrei d’Europa” di Raul Hilberg. Al dirigente fu chiesta una dettagliata relazione finale, per noi questo elenco può essere uno stimolo, certamente non esaustivo, ma interessante, per provare a conoscere quel terribile momento storico e per superare quella pericolosa ignoranza di cui parlava la sentenza. A questi potremmo aggiungerne molti, ad esempio “Il razzismo spiegato a mia figlia” di Tahar Ben Jelloun, in cui l’autore dialoga con la figlia di dieci anni e due sue amiche, rispondendo a domande esplicite e insistenti delle adolescenti che rispecchiano le difficoltà, i pregiudizi e le incomprensioni di chi vive in una società multirazziale e multiculturale, e “Come una rana d’inverno”, in cui Daniela Padoan raccoglie la testimonianza di tre donne (Liliana Segre, Goti Bauer e Giuliana Tedeschi) sopravvissute al campo femminile di Auschwitz.
Tra i grandi della nostra letteratura le opere di Primo Levi restano di attualità. “Se questo è un uomo,” “La tregua”, ma anche “I sommersi e i salvati” e “Il sistema periodico”, dove il tema della persecuzione degli ebrei torna nei racconti, recuperando un tempo precedente o posteriore alla internazione, ma sempre a essa inesorabilmente collegato. Altro classico “Il giardino dei Finzi-Contini” di Giorgio Bassani e, dello stesso autore, “Le storie ferraresi”, dove emerge il tema dell’ipocrisia, del colpevole silenzio di chi vuole “mantenere le mani pulite” e in realtà diviene complice degli eccidi, della dittatura, della guerra. Tanti poi i testi poetici: del già ricordato Primo Levi, di Paul Celan (“Todesfuge” rimane un punto di riferimento per la poesia legata alla Shoah), di Vittorio Sereni (le tre liriche “Dall’Olanda”, “La pietà ingiusta”, “Nel vero anno zero” fortemente provocatorie), ma soprattutto le moltissime poesie in lingua yiddish. Fra tutte ricordiamo “Il canto del popolo ebraico minacciato” di Yitzhark Katzenelson, un insegnante che partecipò alla rivolta armata nel ghetto di Varsavia, riuscì a fuggire e testimoniò una volontà di lotta che non sempre viene sufficientemente messa in evidenza.
La letteratura, la poesia in particolare, ha un potere grande, scriveva Giorgio Bárberi Squarotti, ci consente di sognare, di fondare un’infinità di mondi diversi da quelli della realtà che si vede, potenziando il potere dell’uomo sulle cose sui fatti, dimostrando che si può andare oltre a qualsiasi tirannia e violenza e può nascere dove non te lo aspetti, come in queste parole di Peter, bambino ebreo ucciso a Terezin, in cui riscopriamo un desiderio di vita e di bellezza che accomuna tutti gli esseri umani: “Su un acceso rosso tramonto, sotto gli ippocastani fioriti, sul piazzale giallo di sabbia, ieri i giorni sono tutti uguali, belli come gli alberi fioriti. È il mondo che sorride e io vorrei volare. Ma dove? Un filo spinato impedisce che qui dentro sboccino fiori. Non posso volare. Non voglio morire”.
Barbara Viscardi