Si è appena concluso il XVI Convegno nazionale di Pastorale Giovanile a Palermo. Proviamo a tirare le somme di questi giorni, intensi e vivi proprio come i volti incontrati: 800 persone tra incaricati diocesani, collaboratori, sacerdoti, laici, rappresentanti dei movimenti. Una Chiesa che, a giudicare dalla platea di questi giorni, sembra tutt’altro che spenta e vecchia, tutt’altro che stanca e demotivata, come talvolta si sente descrivere con un certo scoraggiamento. Una Chiesa che accompagna e vive l’urgenza suscitata dal Pontefice circa i giovani. Come essere Chiesa accogliente verso i giovani? La riflessione di questi giorni, attraverso i preziosi interventi dei relatori (come il professor Silvano Petrosino, Frère Alois Löser, priore di Taizé, e molti altri) si è svolta seguendo un grande “filo rosso”: il recente Sinodo dei Vescovi sui giovani e il suo documento conclusivo, l’esortazione apostolica “Christus Vivit”.
È impossibile contenere in poche righe le numerose riflessioni emerse, ma si possono evidenziare alcuni elementi. Il primo è il titolo del convegno: “Dare casa al futuro”. Sono parole emerse proprio nei giorni del Sinodo, tra le righe, i commenti e le condivisioni dei presenti. Quale casa per il futuro dei giovani? Fare casa, dice papa Francesco, è creare legami che si costruiscono con gesti semplici, quotidiani, che tutti possono compiere (Christus Vivit, n. 217). Fare casa è permettere che la Profezia prenda corpo, ma attenzione: porsi a vento perché questo avvenga! Fare casa, una casa per i giovani di oggi, è invocare e vivere alcuni doni: il dono dell’ascolto, dell’annuncio, dell’accompagnamento. Fare casa è esercitare una vicinanza che, con un gioco di parole, “sta vicino ma non sta addosso” alle nuove generazioni.
Fare casa è sfidare le logiche mondane dell’immediato per creare spazi di incontro che riscoprono il valore del tempo, della relazione, della prossimità, della riconciliazione e dell’accompagnamento dei giovani. Se vogliamo fare casa non è necessario costruire nuovi palazzi, opere di invidiabile design e architettura, bensì abitare gli spazi che già abbiamo, gli spazi dei giovani sapendo recuperare il primo luogo (metafisico) che conta: la persona. Tanti dei 35 giovani che hanno preso parte al Sinodo, alla domanda: “Di che cosa avete bisogno?” hanno risposto: “Di aiuto, di ascolto, di attenzione”. Non è chiesto di elaborare nuove “App” o nuovi programmi, e per quanto questo possano essere strumenti utili, non sono la risposta alla domanda dei giovani. I quali, più di ogni altra cosa, chiedono di stare loro accanto. Ma noi stiamo accanto ai giovani?
Un secondo elemento, emerso con una certa prepotenza, è quello dell’annuncio. Se siamo chiamati a stare, ad ascoltare, a vivere il tempo coi giovani non è in virtù del ruolo che ricopriamo, ma in virtù della scelta di vita che abbiamo fatto. Come sacerdoti, religiose, educatori e laici siamo chiamati a raccontare il nostro vissuto nella pastorale di ogni giorno. Siamo chiamati a dire che l’età della scelta è faticosa e spietata sì, ma non impossibile. Siamo chiamati a raccontare, forse senza neanche troppe parole, che il primo luogo abitato da Cristo siamo proprio noi, che in qualche misura abbiamo vissuto un Incontro. In un mondo ormai abituato a parlare di tutto, dobbiamo affrontare la sfida di parlare di poche cose: è un paradosso che può spaventare, eppure abbiamo l’esempio di Cristo. Come ci ha invitato a fare il professor Petrosino, abbiamo l’urgenza di parlare ai giovani di ciò che abbiamo visto e ascoltato. Non possiamo non farlo, perché la missione è la naturale conseguenza di un incontro.
È sorta così una domanda spontanea: “Che cosa dire ai giovani oggi?”. Potremmo dire che c’è dell’altro. L’uomo è il vivente che fa esperienza che c’è dell’altro, ed è in virtù di questo che come servi della Chiesa abbiamo il compito di gettare dei semi, sempre. L’uomo è essere spirituale proprio perché fa esperienza di questo “altro”. C’è dell’altro, sì, e questo altro è un bene che apre strade, che rinnova il nostro modo di stare insieme ai giovani, di rispondere alla loro sete di senso, di accompagnarli nel cammino della vita. Sono stati molti gli elementi emersi nelle discussioni del convegno, e tutti ci rimandano alla lettura del documento conclusivo del Sinodo, “Christus Vivit”, rivolto non solo ai giovani ma a tutto il popolo di Dio. Desidero concludere con le parole del Cardinal Bassetti che alla Veglia di preghiera organizzata per i presenti, sotto lo sguardo travolgente del Cristo Pantocratore della Cattedrale di Monreale, ha citato proprio le ultime frasi dell’esortazione apostolica. “Cari giovani, […] quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti abbiate la bontà e la pazienza di aspettarci” (Christus Vivit, 299, papa Francesco).
Andrea Antonuccio