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«La Consulta chiede l’intervento del legislatore»

Intervista al professor Renato Balduzzi

Dopo la pubblicazione della sentenza, toccherà al Parlamento esprimersi in merito

La sentenza non è ancora stata pubblicata, ma sta già facendo discutere. E non poco. Il 25 settembre scorso la Corte costituzionale ha diffuso un comunicato (che anticipa la decisione vera e propria della Corte) nel quale si spiega di aver «ritenuto non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli». La Corte aveva già trattato la vicenda nell’ordinanza n. 207 del 23 ottobre 2018, invitando (senza successo) il Parlamento a intervenire legislativamente per “rimodulare” il divieto di aiuto al suicidio, finora punito senza alcun distinguo dal nostro codice penale. La vicenda nasce, lo ricorderete, quando Marco Cappato, tesoriere dell’associazione radicale “Luca Coscioni”, nel 2017 accompagnò in un centro svizzero per il suicidio assistito Dj Fabo, ossia Fabiano Antoniani, un giovane milanese divenuto cieco e tetraplegico a seguito di un incidente stradale. Lo stesso Cappato, dopo la morte di Fabo (malato grave, ma non terminale) si era autodenunciato per portare il problema all’attenzione dell’opinione pubblica. Abbiamo chiesto al professor Renato Balduzzi (nella foto qui sotto), docente di Diritto costituzionale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, di spiegarci meglio in che cosa consiste questa decisione della Corte, e le sue eventuali ricadute.

Professor Balduzzi, ci può dare una mano a capire che cosa è realmente successo in questi giorni?
«La Corte non ha ancora pubblicato la sentenza, e dunque possiamo basarci solo sul comunicato stampa diffuso alla fine della Camera di consiglio. Non è facile esprimere un giudizio… manca la decisione vera e propria, non soltanto la motivazione!».

Ci spieghi meglio.
«Per ora non si capisce se ci sarà la dichiarazione di incostituzionalità della norma in oggetto e quale ne sia la portata, e non è una questione di dettaglio sapere se nel nostro ordinamento esiste ancora o no il reato di aiuto al suicidio, non punibile tuttavia in certe situazioni. Dipenderà dal dispositivo della decisione».

Che cosa sappiamo, allora?
«Innanzitutto, che la Corte costituzionale reputa indispensabile l’intervento del legislatore, pur pronunciandosi nel caso specifico per la non punibilità, anche se a determinate condizioni. Da qui in avanti dovrà entrare in gioco il Parlamento che, lo ricordo, nella legge sul “fine vita” entrata in vigore all’inizio del 2018 volutamente aveva escluso di intervenire sull’aiuto al suicidio. Il principio, in quel caso, era: “Né accanimento terapeutico, né eutanasia”».

A quali condizioni si riferisce il giudice costituzionale?
«Nel comunicato si legge che “la Corte ha subordinato la non punibilità al rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua e alla verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Ssn, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente”. Questo ha creato perplessità. L’Ordine dei Medici ha sottolineato che per un medico aiutare al suicidio pone un grave problema deontologico. Il compito del medico è curare e alleviare la sofferenza, e ciò sta alla base della alleanza terapeutica tra il medico e il malato».

La Cei ha espresso “sconcerto e distanza”.
«Sono parole certamente meditate. I Vescovi avvertono il rischio che questa decisione possa essere interpretata come una breccia per introdurre l’eutanasia nel nostro ordinamento, e che anche i “paletti” specificati dalla Corte e, in un futuro, dal legislatore possano essere aggirati, o comunque diversamente interpretati, a tutto scapito dei più fragili e dei più deboli. Faccio un esempio: che cosa deve venire prima, tra le cure palliative e l’aiuto al suicidio, se entrambi sono messi sullo stesso piano? Io credo debbano venire prima le cure, sempre. Ma bisogna anche che qualcuno lo scriva, da qualche parte…».

Andrea Antonuccio

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