Una protesta, due Paesi, tanti volti, molti giovani
Le proteste sono partite lo scorso giugno, quando le strade dell’ex colonia britannica si sono riempite di manifestanti. Sono cinque le richieste principali. La prima era il ritiro definitivo del disegno di legge che prevede l’estradizione (per reati gravi, come omicidio e stupro) verso la Cina e che poteva rappresentare un tentativo del governo cinese per poter controllare il sistema giuridico di Hong Kong. Questa richiesta è stata accettata dalle autorità il 4 settembre, quando la governatrice Carrie Lam ha annunciato che la proposta di legge sulle estradizioni in Cina è «del tutto ritirata per raffreddare l’atmosfera». Tra le richieste ci sono anche le dimissioni della stessa leader dell’esecutivo di Hong Kong, Carrie Lam, che però difficilmente aprirà a questa ipotesi. E ancora un’inchiesta sulla brutalità della polizia durante le proteste, il rilascio dei manifestanti che sono stati arrestati e più in generale maggiori libertà democratiche. Ma quali sono le paure per questa legge? L’emendamento, che permette l’estradizione anche verso Macao e Taiwan, è stato proposto dopo che nel febbraio 2018 un 19enne di Hong Kong era stato accusato di aver ucciso la fidanzata di 20 anni durante una vacanza a Taiwan. Il Paese in questione aveva chiesto l’estradizione del giovane, ma le leggi di Hong Kong non lo avevano permesso. Per gli oppositori della legge le nuove regole sull’estradizione renderanno Hong Kong più vulnerabile alle richieste di Pechino, riducendo così la sua indipendenza.
Hong Kong è composta dall’isola principale (chiamata Hong Kong), dalla penisola di Kowloon, dai Nuovi Territori e da più di 200 altre isole. Si trova circa duemila chilometri a sud di Pechino, affacciata sul delta del fiume delle Perle e sul Mar Cinese Meridionale. Oggi abitano l’Isola sette milioni di persone, tra questi il 95%è di etnia cinese. Fino al 1997 fu una colonia del Regno Unito, poi Hong Kong diventa una regione amministrativa speciale cinese: pur facendo parte della Repubblica popolare cinese, l’ex colonia britannica ha mantenuto il proprio ordinamento giuridico, politico, legislativo, ed economico, ma non il controllo su esteri e difesa. Questo sistema d’indipendenza, chiamato “Un paese, due sistemi”, scadrà nel 2047. Adesso gli abitanti di Hong Kong si chiedono quale sarà il proprio futuro. Ma già in passato l’ex colonia britannica è stata scenario di proteste. Nel 2014 si erano verificate delle forti proteste, durate quasi tre mesi, note come la “rivolta degli ombrelli”. Le manifestazioni erano scaturite dalla decisione del Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo di Pechino di riformare il sistema elettorale di Hong Kong. La proposta, poi non adottata, suonava come una misura restrittiva dell’autonomia della regione: i candidati al governo dell’Isola dovevano prima essere pre-approvati dal Partito Comunista Cinese (Pcc). Nel 2017 si tennero le elezioni: venne scelta Carrie Lam, con il 66,8% dei voti (anche se dai sondaggi era data a 26 punti di distacco dal candidato più popolare). Alla cerimonia di insediamento, era presente anche il presidente della Cina, Xi Jinping.
4.491
Il numero dei protestanti arrestati a oggi. Si spazia dagli 11 agli 83 anni, e si tratta di 3.395 uomini e 1.096 donne.
più di 2.000
Non ci sono dati certi, ma da alcune stime si contano più di due mila persone rimaste ferite. Tra queste anche un morto: un giovane caduto da un parcheggio sopra-elevato durante un’operazione di polizia.
1.000
Sono i voli cancellati dall’inizio di agosto, dopo le proteste e la chiusura dell’aeroporto di Hong Kong, che contribuisce per il 5% al Pil dell’Isola.