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Una lampada votiva… anzi, due!

Speciale Madonna della Salve/4

La copertina di don Gianni, parroco in Cattedrale: «Tanti chiedono aiuto alla Salve»

Monsignor Gianni Toriggia è Vicario generale della Diocesi e parroco della Cattedrale, in cui è custodito il Venerando Simulacro della Madonna della Salve.

Don Gianni, l’acronimo della Salve è: “Sempre Alessandria La Vergine Esaudisce”. Ma gli alessandrini vengono a chiedere grazie, si recano presso la statua della loro Patrona a domandare il suo aiuto?

«Sì. Tante persone ogni giorno vengono davanti alla Madonna della Salve e so che molti vengono per domandare grazie, altri vengono per ringraziare, altri ancora per pregare davanti a Lei e godere della sua compagnia. Gli alessandrini sentono la Salve molto vicina al loro cuore, la percepiscono come una Mamma di famiglia, come la loro Regina, come la persona che intercede presso suo Figlio Gesù».

Le persone che si rivolgono alla Salve sono giovani o anziane? Chi si inginocchia davanti alla Vergine?

«Vengono a venerare e pregare la Madonna della Salve persone di ogni età. Osservo le mamme che insegnano a pregare ai loro bambini e vedo anche dei giovani. Ovviamente le persone anziane sono la maggior parte, però vedo un po’ tutte le fasce d’età, che vengono con fiducia, fede e affetto a pregare la clementissima Patrona della nostra città».

E dopo la pandemia ci sono più o meno visitatori?

«Anche durante la pandemia, forse più alla spicciolata ma con continuità, ho visto persone davanti alla Salve: ora il viavai sta riprendendo nuovamente come prima della pandemia. Ma sempre, per quanto è stato possibile, le persone sono venute a pregare la Madonna della Salve».

Roberto Livraghi, storico alessandrino

Entriamo nella Cappella della Salve davanti a una lampada votiva donata dalla città durante una pandemia.

Dottor Livraghi, ci racconta meglio di questa lampada votiva che sta all’interno della cappella della Salve?

«Anzitutto le lampade sono due, perfettamente uguali per la verità, ma rimangono comunque due. Stiamo parlando di un’epidemia del 1835 di quello che si chiamava “Colera Morbus” (il colera, sostanzialmente) che ha mietuto moltissime vittime in alcune regioni italiane, in particolare in Liguria. Non c’era ancora l’Italia Unita, c’era il Regno di Sardegna con i sovrani Savoia, il Piemonte e la Liguria facevano parte di quello stato e i piemontesi, in particolare gli Alessandrini, si sono molto preoccupati per le vittime che l’epidemia stava mietendo in Liguria. Una storia proprio parallela a quella di oggi: c’era la paura, i tanti morti, non si sapeva cosa fare. C’erano anche i certificati per muoversi da una parte all’altra del territorio».

Una sorta di Green pass dell’epoca…

«Sì, possiamo dire di sì. Quello che allora non c’era, era il vaccino. La devozione popolare aveva come unico scudo nei confronti di una natura maligna la devozione verso la Vergine e in particolare la preghiera. E allora gli alessandrini, che fin dalla fine del ‘400 avevano individuato la Madonna della Salve come loro protettrice, hanno pensato bene di fare un voto, che si è espresso attraverso una delibera del Consiglio Comunale di allora».

E cosa conteneva questa delibera?

«In questa delibera il Comune decise appunto la realizzazione di due oggetti d’argento, alti più di mezzo metro, da offrire come voto della città alla Vergine della Salve. Questo voto del Consiglio comunale fu rispettato: due anni dopo, nella domenica in Albis del 1837, che coincideva con la festività della Madonna della Salve, queste due lampade con su scritto “ex voto della città di Alessandria“ vennero consegnate in Duomo. Da allora fanno parte del tesoro della Madonna della Salve».

Ma le lampade votive quanto sono arte e cultura?

«Sono tanto arte quanto cultura. È semplicissimo spiegare perché: sono frutto dell’arte di un orafo argentiere Alessandrino, che si chiamava Giuseppe Carlo Ceresa. I Ceresa erano una famiglia della provincia di Torino: per oltre 150 anni hanno esercitato l’attività di argentieri in via dei martiri. Quindi sono un pezzo di storia di Alessandria ma sono anche la radice della tradizione argentiera di questa città che poi si è sviluppata ed è cresciuta attraverso tutto l’ottocento fino alla seconda guerra mondiale. I Ceresa hanno lasciato il loro marchio, che tecnicamente si chiama “punzone” ed è rappresentato da due ciliegie (perché Ceresa in piemontese vuol dire proprio ciliegia), sulla base delle due lampade votive. Ma un altro Ceresa, almeno settant’anni prima di Giuseppe e Carlo, aveva avuto dalla Cattedrale l’incarico di realizzare per la Madonna della Salve la teca argentea che la custodiva. Una struttura he poi è stata distrutta in un terrificante incendio della seconda metà dell’ottocento, in cui il calore delle fiamme ha sciolto la teca argentea e ha spaccato i vetri ma ha risparmiato completamente la statua lignea della Vergine. Quindi i Ceresa rappresentano la tradizione alessandrina dell’argenteria ma anche la devozione costante di questa città per la loro Madonna. Arte e fede di uniscono così insieme, attraverso la storia di questi oggetti».

Ora una domanda di carattere più personale: che rapporto c’è tra la Madonna della Salve e Roberto Livraghi?

«Un quesito davvero molto personale (sorride). Ma io me la cavo con una delle mie passioni che è lo studio della storia della città. Con don Stefano Tessaglia abbiamo curato recentemente una serie di profili di ecclesiastici, solitamente canonici della Cattedrale, che hanno scritto di storia religiosa, ma sovente anche di storia civile della città. Le mie passioni di storico mi hanno portato a frequentare molto questi studiosi, che considero pieni di saggezza. Tutto ciò mi ha portato ad individuare un rapporto costante che questi uomini hanno sempre avuto con la Madonna della Salve. Con don Stefano ne abbiamo studiati una quindicina. Su quindici, almeno dieci di loro, a partire proprio dal sedicesimo secolo, hanno scritto qualcosa sulla nostra Santa Patrona. Nella mia attività di ricerca mi sono frequentemente ritrovato a leggere queste antiche memorie di 500 anni fa, in cui i nostri predecessori si sono già misurati con questa devozione. Certo, oggi sono tempi più secolarizzati, in cui è difficile poter recuperare questo rapporto semplice e diretto, puro, che molti di loro avevano con la Vergine. Però io credo che qualcosa da loro possiamo ancora imparare: “grattando” un po’ la nostra superficie protettiva di cinismo e distacco rispetto a determinate devozioni del passato, possiamo trovare sotto sotto un cuore alessandrino che batte, fortemente devoto alla propria Patrona e Protettrice».

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