“La testa e la pancia” di Silvio Bolloli
Mentre i Grigi si avviano (spero non troppo mestamente) a concludere un 2022 molto più agro che non dolce e gli occhi sono tutti puntati su umori e intendimenti del Presidente, io preferisco pensare al Mondiale appena terminato e a come lo sport riesca sempre ad essere emblema di ogni aspetto della vita umana. Confesso che la prospettiva della finale tra Argentina e Francia non mi aveva molto entusiasmato – se non altro da un punto di vista emotivo – per una sottile antipatia che nutro nei confronti di entrambe le Nazionali (o, nel caso della Francia, della relativa Nazione).
Tralasciando ogni considerazione sulla annosa spocchia transalpina nei nostri confronti, all’Argentina mi lega il triste ricordo delle semifinali di Italia ‘90, in cui fummo sconfitti ai rigori e i nostri lamentarono gli sfottò degli avversari a centrocampo al termine della lotteria, ma anche il ben più fresco e recente pensiero dello stesso atteggiamento posto in essere nei confronti degli olandesi e in parte anche dei francesi a giostra dei penalties terminata.
E non mi vergogno a dire che un po’ di tifo per il Marocco, se non altro quale outsider, l’ho fatto anche se non mi sono piaciuti certi aspetti di esagerata ed esagitata esultanza dei supporters nordafricani. Fatte tutte queste debite premesse, sono tre le immagini-cartolina che mi restano di questa insolita edizione qatariota, non volendo addentrarmi in ben altre, e più spinose questioni attinenti quanto accaduto fuori dal campo: il successo di Messi, a coronamento di una carriera straordinaria che ha portato l’Argentina a non essere più dipendente dal mito di Maradona (che pure resterà tale), il bagno di umiltà al quale è stato costretto un Cristiano Ronaldo alle prese con un crepuscolo tanto munifico quanto, forse, triste e l’incredibile affermazione di Mbappé. Alle volte anche lo sconfitto è vincitore.