Centro italiano femminile
È un particolare momento storico quello in cui viviamo ed è un momento che rende molto difficile parlare di associazionismo, soprattutto femminile. E questo perché la nostra società ristagna in un clima di scontento diffuso, dilagante. Lo scontento che parte da una situazione interiore (poi sociale, civile, politica) nasce da uno squilibrio tra aspettative e realtà; insorge quando una situazione non piace. E nasce da un deficit, dalla mancanza di qualcosa, da una situazione che reputiamo ingiusta, inaccettabile.
E può avere due vie d’uscita: la prima tracciata da uno scontento sano e proficuo che genera ricerca, creatività, miglioramento; la seconda che crea un alibi per non agire, per non assumersi responsabilità e scaricare “ogni colpa” sugli altri. Per questo è molto difficile rapportarsi, dialogare in maniera positiva, condividere ideali e principi, coinvolgere soprattutto le giovani generazioni. Le nostre città sono diventate “piatte”, i cittadini subordinati all’iper-consumo che genera dipendenze.
Non solo: tutto ciò che appartiene alla nostra civiltà e tradizione viene vissuto con senso di colpa (quasi con vergogna) per i nostri simboli: dal Crocefisso al Presepe, e per i nostri comportamenti, dettati da un’educazione ricevuta, di rispetto nei confronti dell’altro, inteso come prossimo (da amare).
È allora difficile parlare di Cif, Centro italiano femminile, in questo nostro contesto alessandrino, proporre le linee di azione pensate da donne per altre donne, da condividere, da far ricadere proficuamente nell’ambito di azione sia familiare, sia lavorativo, sia sociale in senso ampio.
Ma se pensiamo al vissuto storico di questa nostra Associazione, affermiamo ancora una volta e orgogliosamente che essa si è inserita tra le forme democratiche verso cui, nell’immediato dopoguerra, si avviava il Paese per “rimettersi in piedi”, consapevole dell’immane fatica cui andava incontro ma forte di quella umana speranza, dettata dalla Fede, che l’aiutò a compiere i primi passi tra le rovine materiali e morali.
Sono trascorsi 78 anni e, come allora, ci dovremo “rimettere in piedi”. E come allora, il Cif si propone di “interessare la donna ed aiutarla nella soluzione delle problematiche femminili, di prepararla ed assisterla nell’adempimento dei suoi doveri sociali e civili” (Bollettino Cif n. 1).
Come allora, noi donne muoviamo i nostri passi (con tante difficoltà) per la gestione del quotidiano, tra macerie morali dovute al “crollo” di valori e principi fondanti per la nostra vita civile. Stiamo assistendo pressoché impotenti a un degrado, non solo ambientale, ma soprattutto valoriale, al venir meno del rispetto della dignità della donna, alla violenza e ai femminicidi ai quali non vorremmo abituarci.
Proprio 78 anni fa il Cif faceva appello “alla madre di famiglia e alla donna di casa che possono esercitare la loro benefica influenza sociale anche senza abbandonare i compiti domestici”. Oggi diremmo nei rapporti con il coniuge senza troppo seguire le mode correnti, nell’educazione dei figli senza sempre delegare, nella cura degli anziani con infinita pazienza e sacrificio. Faceva appello “alla intellettuale, alla professionista, all’impiegata, all’operaia, alla contadina, forze operanti nel mondo del lavoro. Alla giovane che con generoso impulso verso ogni rinnovamento nel bene reca tesori di fresche energie; a tutte le donne che intendono apportare all’opera comune il contributo cristiano di esperienza, di consiglio, di impegno”.
Rosa Mazzarello