La recensione
La storia dell’umanità è segnata da ferite, più o meno profonde, più o meno durature, che lasciano comunque una traccia nelle vicende delle persone e dei popoli e che, se mal curate, tendono a riaprirsi; bisogna riscoprirle e “disinfettarle” per rendere migliore la vita. Lo sostiene in Ferite ancora aperte (Rizzoli, pp 304, euro 18,50) il giornalista, conduttore televisivo e storico Paolo Mieli.
In effetti esistono lacerazioni evidentemente mai rimarginate, altre talmente profonde che sembrano paradossalmente invisibili, altre infine erroneamente reputate guarite solo per il fatto di essere lontane.
A questa triplice distinzione corrispondono le tre sezioni in cui è articolato il libro. Alla prima categoria appartengono, per esempio, la guerra in corso in Ucraina e l’indipendenza dell’Algeria dalla Francia; alla seconda il regno di Federico II di Svevia e il ruolo di Matilde di Canossa; nel terzo caso ci si riferisce a Giulio Cesare e Giangiacomo Feltrinelli.
Ci soffermiamo, per evidenti ragioni d’attualità, sulle radici del conflitto in Ucraina, che appartiene al primo gruppo, quello delle ferite mai rimarginate. In un lungo intervento televisivo il presidente russo sostenne che l’Ucraina è frutto di scelte dei dirigenti dell’Unione Sovietica, in particolare di Lenin, che nel 1918 permise all’Ucraina di essere una nazione indipendente, e di Chruscev, che nel 1954 consegnò la Crimea all’Ucraina sottraendola alla Russia.
Va detto che Stalin negli anni 1932-1933 creò artificialmente una carestia in Ucraina, ricordata come Holodomor, espropriando delle terre i legittimi proprietari e requisendo quasi interamente i raccolti, facendo morire letteralmente di fame milioni di persone. Ecco perché l’arrivo delle truppe tedesche fu salutato come una liberazione, che in realtà fu l’inizio di deportazioni e sofferenze.Gli uomini di Stepan Bandera aiutarono i nazisti nei rastrellamenti degli ebrei ma lo stesso Bandera venne arrestato dai tedeschi e condotto a Berlino e poi rinchiuso in un campo di concentramento per essere infine assassinato dai sovietici. Contraddizioni e lati oscuri che lasciano cicatrici pronte a riaprirsi e a infettarsi nuovamente.
Insomma, secondo il libro studiare la storia è un modo per tenerne sotto controllo le ferite e le loro conseguenze per il presente. Per seguire la metafora contenuta nel titolo, è utile periodicamente togliere le bende dalle lacerazioni per curarle con modalità nuove, nella consapevolezza che la risoluzione dei problemi non è mai definitiva.
Fabrizio Casazza