Editoriale
Care lettrici,
cari lettori,
questa settimana ho chiesto al nostro Vescovo di raccontarmi le sue “Pasque” più significative, quelle in cui lui ha (cito testualmente) «visto veramente il Signore». Vi consiglio di leggere le parole di monsignor Gallese: la sua Pasqua «ha sempre avuto un sapore concreto, non è mai stata una celebrazione liturgica fine a se stessa». Un sapore concreto: l’opposto dello scollamento tra vita materiale e vita spirituale, nel quale subdolamente possiamo cadere tutti. Una sorta di “ritualismo”, come dice il Vescovo, che ci fa andare a Messa (anche a Pasqua) per assolvere un precetto che poi, fuori dall’edificio sacro, viene archiviato in favore della vita “vera”. Per cui alla fine ci si arrabatta, come se Cristo non esistesse o non avesse voce in capitolo. Lo scrittore francese Charles Péguy (lo cito spesso nei miei editoriali) nel 1914 scriveva nella sua opera “Note conjointe sur M. Descartes et la philosophie cartesienne”: «Coloro che prendono le distanze dal mondo, coloro che prendono quota abbassando il mondo, non si innalzano. Poiché non hanno la forza e la grazia di essere della natura, credono di essere della grazia. […] Poiché non hanno il coraggio del temporale, credono di essere entrati già nella penetrazione dell’eterno. Poiché non hanno il coraggio di essere nel mondo, credono di essere di Dio. Poiché non hanno il coraggio di essere di uno dei partiti dell’uomo, credono di essere del partito di Dio. Poiché non amano nessuno, credono di amare Dio». Quest’ultima frase è lacerante: è la sintesi perfetta di chi vivendo la fede fuori dal mondo non è in grado di amare nessuno. Ma Cristo è venuto al mondo (appunto!) dal grembo di una donna, e poi è morto, e poi è risorto. Solo in virtù di questo oggi possiamo farci gli auguri con verità e in letizia. Possiamo amare il mondo, amando Colui che lo ha salvato.
Buona Pasqua da tutti noi!
direttore@lavocealessandrina.it