A 25 anni dalla beatificazione
“Caritas sine modo”. È un latino semplice che vuol dire “amore senza limite”. Ed è la scritta collocata sul crocifisso ligneo della chiesa di San Bernardino a Molfetta che catturò l’attenzione di don Tonino Bello, vescovo di quella diocesi, Venerabile dal 2021 e del quale ricorrono i vent’anni dalla morte.
Don Tonino viveva il suo episcopato in mezzo a coloro che gli erano stati affidati per confermarli nella fede, soprattutto gli ultimi, i diseredati, i poveri nel corpo e nello spirito. Il suo episcopio era l’abitazione di quanti si trovavano in difficoltà, sfidando l’indifferenza della gente, quando non la derisione e l’ostilità nell’accogliere.
“La nostra fede sa troppo di tavolino, di banco” scrive in “Senza misura” nel dicembre 1993. “La nostra fede non ha molta polvere sulle scarpe, non sa di polvere, non ha profumi di strada, non ha sapori di piazza, non ha odori di condomini. Ha solo il profumo dell’incenso delle nostre chiese. Pericoli della strada noi non ne affrontiamo molti; gli unici pericoli della strada che affrontiamo sono quelli delle processioni”. E ancora. “Siate coscienza critica all’interno della comunità cristiana; portate qui in chiesa il gemito dei poveri, la noia di chi non ce la fa più, il tormento di chi si sente stanco della vita, l’ansia e la ricerca di cieli nuovi e di terra nuova di tanti giovani che affollano i viali e le piazze della città. Portate qui in chiesa le sofferenze di tante persone che si sentono ferite, sconfitte, allontanate, emarginate e che hanno perso la fiducia in tutto, perfino nel Signore forse anche per causa nostra perché non diamo un’immagine credibile agli altri”.
Non so se don Tonino Bello ha letto la storia della Beata Teresa Michel scritta da monsignor Torriani ma confrontando la vita dell’uno e dell’altra emergono parallelismi sconcertanti di una fede vissuta radicalmente attraverso la povertà e la dedizione di sé agli “scarti” della società, termine usato ripetutamente da Papa Francesco per indicarci coloro che devono essere presenti quotidianamente nei nostri pensieri e nelle azioni conseguenti.
“I poveri di solito hanno buon cuore” scrive monsignor Carlo Torriani al capitolo ottavo della vita di Madre Teresa Grillo Michel “e si trasmettono in fretta la notizia di una nuova fonte di aiuti. Cosicchè, a danno di chi l’ha scoperta e ha parlato, la fonte si esaurisce per l’accorrere di bisognosi veri o meno veri, da ogni parte. Così avvenne a donna Teresa (che veniva dalla società elegante, ndr) la cui fonte era abbondante ma non inesauribile. Strani clienti aumentavano ogni giorno di numero, e Paolina (incaricata di fare buona guardia a Teresa dalla famiglia Grillo, ndr) aveva il suo da fare a distribuirli nelle sale e nelle anticamere. Era proibito licenziarli.
“Nei primi tempi venivano a trovarsi nelle stesse sale signore eleganti in visita alla padrona e povere donne cenciose; poi quelle si diradarono sempre più. Era difficile comprendere come i tappeti persiani fossero più adatti ai piedi nudi che ai piedi calzati. L’ammirazione che le persone di mondo ebbero un tempo per la signora Michel cambiò ben presto in disprezzo e compatimento come di una donna che avesse smarrito la ragione. E nei salotti restò unico a difendere la vedova del colonnello il canonico Prelli, l’abate dell’aristocrazia che faceva una specie di azione cattolica di quei tempi, visitando a giornate fisse le nobili famiglie”.
“Donna Teresa invece si sentiva così felice! (…)”
“Il dottor Parvopassu, suo cugino, allora medico municipale dei poveri, andando a constatare i decessi nelle più luride catapecchie, non di rado aveva la sorpresa di incontrarvi donna Teresa intenta a vestire il povero morto abbandonato (un vecchietto senza parenti, un mendicante scemo, un venditore ambulante…). Rendeva gli estremi servizi ai morti con la stessa pietà con la quale assisteva i vivi più derelitti e magari più ributtanti: pettinava un’ammalata, lavava un piccino, imboccava un paralitico…”.
“Se queste stranezze erano l’argomento del giorno per i salotti e i caffè, erano il fastidio tormentoso dei parenti. Fare del bene era sempre stato nel programma della ‘Famiglia Giulia’ ma a quel modo era un po’ troppo…! Non c’era pericolo che la vedova s’impoverisse lei per far star bene gli altri?”.
“[…] La Nina, meno riservata (della Paolina, ndr), non taceva alle interrogazioni dei curiosi, e andava dicendo delle scene di miserie cui assisteva giornalmente, proclamando in pubblico che la casa Michel era diventata la ‘casa degli straccioni’, e che la sua padrona era contenta soltanto quando era in mezzo a loro”.
Se i lettori hanno avuto la pazienza di seguirmi fin qui avranno colto l’azione del “Vangelo della carità” in entrambi: don Tonino e Madre Michel, furono mossi da un impeto costante verso chi ha meno, è abbandonato, deriso, senza prospettive nella vita, senza nulla per il proprio sostentamento. Entrambi sono stati non solo annunciatori ma testimoni del Vangelo con una fede alimentata costantemente dalla preghiera. “Non soltanto ogni azione era fatta a gloria di Dio – scrive Carlo Torriani narrando la vita della Beata Teresa Michel, nel ventiseiesimo capitolo “La forza della preghiera” – non soltanto la mente era sempre rivolta a Lui, ma le sue labbra non desistevano mai dall’invocare la Divina Provvidenza, e dal ringraziarla. E poiché i colloqui giornalieri interrompevano tante volte le orazioni, alla sera e in parte anche durante la notte, s’intratteneva in lunghi colloqui col Signore. […] Non è facile dire quanta fatica le costasse la preghiera, specialmente dopo lunghi viaggi o giornate movimentate. Arrivando ad un Santuario, per esempio quello di Boca nel Biellese, le suore che l’accompagnavano si facevano premura di cercarle un posto su un banco o su una sedia e anche i fedeli, conoscendola, si scostavano rispettosi. Ella invece andava direttamente all’Altare, e inginocchiata in terra, tenendo innalzate le braccia, non vedendo neppure chi le stava attorno, incominciava le sue orazioni mentali. Qualche volta le suore, prese da compassione per una posizione tanto incomoda, le sostenevano le braccia, come avvenne a Mosè”. “La preghiera ha questo di straordinario: è come l’acqua nei vasi comunicanti. Ha efficacia, cioè, anche a distanza e colma il vuoto di recipienti lontani. Se, invece, la preghiera è solo un merletto aggiuntivo al panno della propria giornata, si corre il rischio forte che, al momento della prova, il merletto si laceri dall’abito” (Don Tonino Bello, “Preghiere”, Edizioni San Paolo, 2001).
E venne il 24 maggio del 1998.
“I poveri aumentano a più non posso e si vorrebbe poter allargare le braccia per accoglierne tanti sotto le ali della Divina Provvidenza: così si esprimeva dando inizio alla sua opera ad Alessandria, sua città natale”, esordì Papa Giovanni Paolo II riferendosi a Teresa Grillo Michel, “testimone di luminosa carità evangelica”. “Al centro della vita spirituale sua e delle Consorelle – proseguì il Santo Padre – sta l’Eucaristia, la cui immagine volle ben visibile sull’abito religioso. Dalla preghiera prolungata davanti al Santissimo Sacramento, Teresa traeva ispirazione e sostegno per la sua quotidiana dedizione come pure per le coraggiose iniziative missionarie, che la condussero più volte fino al Brasile. Questa generosa figlia del Piemonte si colloca nella scia dei Santi e Beati che, nel corso dei secoli, hanno recato al mondo il messaggio dell’amore divino attraverso il fattivo servizio ai fratelli bisognosi. Rendiamo grazie a Dio per la viva testimonianza di santità di questa Donna, che arricchisce la vostra Regione e la Chiesa intera”.
E monsignor Fernando Charrier, allora Vescovo di Alessandria, sottolineò che “il mondo moderno in preda all’effimero e al momentaneo, comprende con difficoltà una vita dedicata ‘tutta’, cioè ‘ogni tempo e ogni spazio’ agli ‘altri’”.
La Beata Teresa Michel è stata antesignana di quella mirabile esortazione del Concilio Ecumenico Vaticano II contenuta nell’incipit della Costituzione pastorale “Gaudium et spes” sulla Chiesa nel mondo contemporaneo: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”.
E le Piccole Suore della Divina Provvidenza a quasi un secolo dalla loro fondazione, continuano l’opera nello spirito di Madre Michel per corrispondere all’invito di Cristo Signore: avevo fame e mi avete dato da mangiare, sete e mi avete dato da bere, nudo e mi avete vestito, malato e carcerato e siete venuti a trovarmi, straniero e mi avete accolto. Un esempio che può far riflettere chiunque non voglia farsi dettare l’agenda quotidiana della propria vita dal correre dietro ai “miti” della contemporaneità, che si sciolgono al sole come un cubetto di ghiaccio perché mancanti di solide basi umane, prima ancora che cristiane.
Marco Caramagna