Carlotta Testa, Ufficio di Pastorale giovanile della Diocesi.
Carlotta, a un mese dalla Gmg che cosa porti a casa?
«Sicuramente porto via il sapore di una esperienza mondiale e carismatica come solo le Gmg possono essere. È una esperienza unica, e lo sapevo già avendone fatte diverse, ma anche Lisbona ha confermato i mie pensieri. È stata una occasione straordinaria per i ragazzi, non solo per stare insieme e divertirsi, ma soprattutto per fare una esperienza di fede. Chi per un primo approccio, chi per un approfondimento, chi per mettersi in discussione. Questo l’ho visto durante i giorni di Lisbona, e ancora di più dopo il rientro».
Ci spieghi meglio?
«Guarda, un po’ senza volere, diversi giovani mi hanno mandato dei loro racconti, come pagine di diario, sui giorni portoghesi. Mi ha colpito notare come per alcuni sia stata una esperienza straordinaria di Chiesa. Una esperienza cristiana. Si sono chiesti che cos’è la fede, cosa hanno sperimentato e provato. E poi sono rimasta piacevolmente colpita dalla disponibilità dei ragazzi, del nostro gruppo e in generale, a mettersi in gioco su tutti i fronti. Ripensandomi giovane e adolescente, non so se avrei accolto e preso al volo alcune proposte, dove in mezzo c’è fatica, caldo, stanchezza (sorride). A loro va la mia riconoscenza, alla loro capacità di aprirsi al contesto in cui si vive e provando a farsi interrogare in maniera profonda».
E poi c’era papa Francesco.
«È un Papa che, con l’avanzare dell’età, diventa più conciso ma anche sempre più efficace. Usa sempre meno parole che non servono, anche se non le ha mai usate, ma è profondamente efficace. Meno lungo, perché l’avanzare dell’età pesa sulla sua stanchezza e sul “reggere” certi tempi, ma le sue parole hanno fatto centro. Non ho mai visto i ragazzi insoddisfatti dopo aver sentito un suo discorso o una sua omelia: riesce sempre a lasciare un segno nel cuore dei ragazzi».
Cosa ti ha colpito delle sue parole?
«Ha portato il coraggio della Chiesa in questo secolo. Il Papa ha il coraggio di chiamare i giovani per nome, portando i temi contemporanei. Penso alla dispersione, alla paura, al fatto di accogliere tutti: sono temi che riguardano da vicino i ragazzi dei nostri giorni. E un Papa che chiama i giovani per nome non può che toccare il loro cuore».
Che cosa ha imparato la Chiesa dall’esperienza di Lisbona?
«Spero abbia imparato che i giovani ci sono, sono disponibili e aperti a una chiamata. Giovani che stanno al passo con i tempi, e non sono indifferenti alla guerra o tutte le fatiche politiche che affronta il mondo. Mi auguro che la Chiesa impari a parlare ai giovani, con pazienza, ma anche con insistenza. Non può smettere di dialogare con loro, perché sono il futuro della Chiesa. A riguardo vorrei citare un altro aspetto».
Certo.
«C’è stata una ottima collaborazione con le altre diocesi del Piemonte. È stato un sostegno dal punto di vista organizzativo, ma anche una ricchezza dal punto di vista umano e pastorale. Si è fatta sintesi tra noi incaricati, al termine di questa esperienza, e si è respirato un legame di affetto e di stima. Questo ci consente di guardare al futuro con ancora più determinazione e voglia».
E adesso la prossima tappa sarà Seul.
«Quando il Papa ha detto che la prossima Gmg sarebbe stata in Corea, eravamo al campo della Veglia, e i ragazzi mi hanno subito chiamato: “Sei pronta? Iscrivici subito, perché vogliamo andarci!”. Il mio primo pensiero è stato: “L’organizzazione della Gmg è già cavillosa in Europa, figuriamoci in un altro continente” (sorride). A parte questo, trovo una scelta ambiziosa e audace portare la Giornata mondiale della gioventù in Corea. L’obiettivo è andare davvero in tutti i posti del mondo, anche nelle periferie. Poi sarà una meta molto interessante anche dal punto di vista culturale: andare in Corea avrà un sapore diverso rispetto alle altre Gmg, perché si tratta di un paese con una storia politica e religiosa differente. La sfida, per noi, inizia adesso: in termini economici dobbiamo aiutare i ragazzi, perché sarà un viaggio costoso, ma dovremo spenderci anche per formarli».
In che modo?
«Bisogna camminare con loro. Intanto trovare alcuni luoghi in cui stare con i nostri giovani: gli oratori, per esempio. Un luogo in cui incontriamo i ragazzi, e dove loro possono frequentare la Chiesa e dialogare. Poi occorrerà creare proposte, anche semplici, che ci permettano di fare un cammino continuativo. Non dobbiamo perdere chi è stato a Lisbona, e dobbiamo raccontare questa esperienza a chi non è venuto, cercando di coinvolgerli. Siamo chiamati a camminare con loro, in un percorso ordinario, che li accompagni a Seul nel 2027. E, prima, a Roma nel 2025».
Torniamo a Lisbona. C’è un aneddoto che porti nel cuore?
«Sì, è un episodio che si è ripetuto più volte. Alcuni ragazzi della nostra Diocesi, essendo maggiorenni, spesso chiedevano di staccarsi dal gruppo per vivere altre proposte della Gmg. All’inizio ero un po’ scettica, poi una sera, tornando sorridenti, mi hanno detto: “Carlotta, abbiamo fatto una adorazione bellissima!”. Un altro giorno, ancora più felici: “Abbiamo sentito questa testimonianza: è stata stupenda!”. E io sono rimasta colpita da questi ragazzi, perché hanno voluto prendersi tutto dalla Gmg. Piuttosto hanno scelto di farsi 20 chilometri in più a piedi, ma non si sono persi quell’adorazione o quella testimonianza. E lì, con loro, c’erano centinaia di ragazzi in preghiera, fermi e in silenzio, davanti a un pezzo di pane. Davanti all’Eucarestia».
A. V.