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Volontari in festa ad Alessandria

Parla Rosanna Viotto, presidente del Csvaa

Rosanna Viotto (nella foto), 71 anni, da due anni e mezzo è la presidente del Csvaa, Centro Servizi Volontariato Asti e Alessandria. «Ma sono una volontaria di vecchia data, sin dal 1975» ci confessa, sorridendo, quando la incontriamo per farci raccontare la seconda edizione della “Festa del volontariato e dei volontari” che si svolgerà il 6 e il 7 ottobre ad Alessandria.

Viotto, partiamo dall’inizio: che cos’è il Csvaa?

«Il Csvaa è una agenzia del territorio per lo sviluppo delle associazioni di volontariato. Accompagniamo queste realtà affinché possano svolgere al meglio la loro missione. Facciamo corsi di formazione e ricerca di volontari. Soprattutto giovani, perché loro non sono solo il futuro del mondo, ma anche i nostri futuri volontari».

L’Alessandria del volontariato come sta?

«Sta bene, è attiva e vivace. Il volontariato ad Alessandria si declina in tutti i campi: dall’assistenza sanitaria alla cultura, dall’impegno civile alla lotta contro i soprusi e le violenze. E ci si interessa di cooperazione allo sviluppo, anche in campo internazionale, e di tutela agli animali. Quindi davvero c’è spazio per ogni persona che voglia avvicinarsi al volontariato».

Quanti volontari e quante associazioni seguite?

«Non è semplice quantificare i volontari, ma posso dire che ci sono più di 500 associazioni aggregate al Centro servizi, tra Alessandria e Asti».

L’Istat ha certificato un drastico calo di volontari, negli ultimi anni. Per quale motivo, secondo lei?

«Si parla di circa un milione di volontari in meno, in Italia, e per questo i Centri servizi stanno facendo promozione. Le cause della diminuzione sono tante. Prima di tutto, la mancanza di valori, tra i giovani e tra i più grandi. Siamo portati a pensare al nostro piccolo, al nostro orticello, e quindi abbiamo meno interesse verso gli altri. In secondo luogo, andiamo in pensione sempre più tardi. E, da ultimo, i giovani hanno più difficoltà a trovare lavoro e, quando lo trovano, spesso devono andare altrove, fuori città. Notiamo però che si lasciano coinvolgere quando si tratta di volontariato “spot”, magari per le grandi emergenze: pensiamo alle alluvioni o ai terremoti. Ma poi, purtroppo, viene meno la continuità. È una situazione che vedo anche nelle nostre associazioni».

Parliamo della “Festa del volontariato”.

«Dopo il Covid c’è stato un forte desiderio di ricominciare, così abbiamo pensato a questo evento. La prima edizione è andata molto bene, e abbiamo visto quanto i rappresentanti delle varie associazioni fossero contenti di mettersi in gioco e farsi conoscere dalla cittadinanza. Allora abbiamo deciso di replicare anche quest’anno».

La Festa ha un prologo venerdì 6 ottobre.

«Sì, con il convegno “Innovare per il bene comune. Amministrazione condivisa e volontariato locale”. Cercheremo di coinvolgere i giovani, attraverso i social, in particolare TikTok. Abbiamo chiesto loro di fare un video e rispondere alla domanda: “Volontariato è…?”. Ci aspettiamo che rispondano numerosi».

E sabato 7 ottobre?

«Ci sarà la Festa vera e propria. In piazza Garibaldi, dalle 10.30 fino alle 18.30, saranno allestiti 50 stand con le varie associazioni coinvolte. E ci saranno tante altre novità, ma non voglio dire molto (sorride). Deve essere una sorpresa, per suscitare curiosità e invitare le persone a venire».

Che cosa vuol dire essere volontario, oggi?

«Prima di tutto: volontari non si nasce, ma si diventa. È una scelta di vita. Un volontario ha fatto la scelta di mettersi a disposizione degli altri, dei più fragili. Ha deciso di non chiudere tutto il bagaglio di competenze che con gli anni ha accumulato, ma di metterlo a disposizione delle realtà di volontariato».

Anche lei è una volontaria, vero?

«Certo, sono volontaria del gruppo Assefa Alessandria, che si occupa, sin dal 1985, di sostegni a distanza e di progetti di sviluppo in India. Nel 1985 abbiamo cominciato offrendo assistenza sanitaria, pasto a pranzo e inclusione scolastica a quattro bambini. Adesso sono 3.569. I villaggi dove vivono questi bambini sono nel Tamil Nadu, nel sud dell’India, e la città di riferimento è Madurai. La cosa interessante è che sono gli indiani a rimboccarsi le maniche e a lavorare sul territorio, non c’è il nostro personale volontario. Noi periodicamente andiamo a visitare i progetti e così vediamo quali sono le realtà che possono avere nuove esigenze».

Quali progetti avete?

«Cerchiamo di dare speranza e futuro in una terra complessa. Acquistiamo attrezzi da lavoro o computer o macchine di sartoria, dando l’opportunità a questi ragazzi, appena usciti dalla scuola media, di imparare un lavoro. Evitando così che vadano nelle grandi città, dove incontrerebbero grandi povertà, che li porterebbero a emigrare in altri Paesi. Poi siamo impegnati nella costruzione di scuole e di progetti sanitari. Per esempio, durante il Covid abbiamo finanziato un centro sanitario, e nell’agosto del 2023 siamo andati a visitarlo. In questo centro sanitario i giovani studenti, usciti dalla facoltà di Medicina, hanno la possibilità di svolgere gratuitamente un tirocinio, toccando con mano la realtà dei villaggi, mettendosi a disposizione dei più poveri».

Povertà inimmaginabili, ai nostri occhi.

«Noi vediamo l’India che ci mostrano in tv e sui giornali: l’India che va sulla Luna, o che ha la bomba atomica… Però poi, per capire la realtà, bisogna andare nei villaggi indiani. Un ragazzo che ci ha accompagnato nel nostro ultimo viaggio ci ha detto: “In India siamo troppi, non c’è cibo e assistenza per tutti. E i governanti non hanno interesse a occuparsi dei poveri, preferiscono tenerli da parte per evitare rivolte”. Ecco, noi cerchiamo, nel nostro piccolo, di dare delle opportunità di lavoro, di dare speranza per farli rimanere nella loro terra. Perché possiamo solo immaginare la tragedia di queste persone che, per un futuro migliore, decidono di emigrare. Lasciando per sempre la propria patria e la propria casa».

Alessandro Venticinque

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