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Nasce Gesù, luce nelle tenebre

«Vi auguro di saper riconoscere il Signore, e di seguire quella voce che chiama
a cose che magari possono sembrare assurde, ma cambiano la vita»

 

Eccellenza, in queste settimane lei ha incontrato le associazioni di categoria per gli auguri di Natale. Come è andata?

«Ho imparato dal cardinal Siri, che a Genova aveva avviato un clima di relazioni molto bello e proficuo attraverso questi auguri natalizi, che erano parte della sua pastorale. E ora della mia… Ascolto e prendo appunti, perché emergono degli spunti interessanti che è bene non perdere. Le varie categorie danno una lettura di Alessandria, dal loro punto di vista, secondo quello che hanno visto durante l’anno. Per me è molto istruttivo. Ritorno spesso su quello che viene detto, anche per fare un bilancio della vita della Diocesi e della città».

Che cosa l’ha colpita di più?

«Due, tra le tante. La prima: da qualche anno mi sento dire che c’è una rabbia crescente nella gente, una situazione di disagio che degenera in atteggiamenti isterici, arrabbiati. Ma quest’anno, nel mio incontro con i giornalisti, qualcuno ha fatto saggiamente osservare che non c’è solo la rabbia, ma anche la depressione. Ed è vero, i casi sono aumentati… Certo, non è un problema solo di Alessandria, è un problema globale. Il secondo aspetto che mi ha colpito è stato ascoltare i dirigenti scolastici e constatare che le famiglie in diversi casi hanno abdicato al loro dovere educativo. Effettivamente, le famiglie sono quelle su cui si scaricano i problemi, un po’ come avviene con i sindaci, che sono dei “parafulmini” e rispondono di tutto. Così è anche per le famiglie che, in questa società completamente “liquida”, si rendono conto di non essere più capaci di educare. Perché ciò che è liquido non educa: quello che le famiglie hanno ricevuto in passato è “scaduto”, e la società non lo ha sostituito con nulla. È accaduto lo stesso nelle nostre parrocchie, che hanno dato una formazione alla vita cristiana molto più debole di quella che fornivano una volta. E il tracollo è avvenuto nel giro di non tantissimi anni».

Quindi le colpe si suddividono tra famiglie e parrocchie…

«Non sono né della famiglia né della parrocchia. La crisi è della società: i pensieri che hanno guidato la nostra società rivelano delle pecche non indifferenti, delle quali non ci siamo accorti. La Chiesa qualcosa ha capito, ma non abbastanza. E quindi oggi paghiamo il conto».

Quindi è tutto negativo?

«No, in mezzo a queste tenebre c’è una luce: questo è il messaggio che ho dato a questi auguri natalizi. La luce viene dal fatto che, pure in mezzo alle difficoltà come successo al profeta Elia e a Mosè, le tenebre sono l’occasione di un cammino nel deserto che purifica e apre gli occhi su una realtà nuova, su un incontro nuovo con il Signore. Su valori che incontreremo nel nostro cammino se abbiamo il coraggio di perseverare e di camminare anche in mezzo alle tenebre, in mezzo al deserto».

La prossima tappa di questo “cammino nel deserto”?

«Non lo sappiamo. Come non lo sapeva Israele, o come non lo sapeva Elia. La nostra Chiesa sta facendo un cammino nelle tenebre, guidata da Dio».

Con una luce che però si intravede..

«Sì, una luce si intravede. Perché, come scrivo nella Lettera pastorale, il fatto che i giovani siano venuti così numerosi alla Giornata mondiale della Gioventù è un indice interessante. Sarebbero dovuti essere al massimo 350 mila, a causa di una serie di fattori: l’aumento dei costi, la denatalità e l’abbandono della Chiesa cattolica… E, invece, i giovani hanno sentito in papa Francesco un testimone vero. Di luce».

Anche ad Alessandria c’è qualcosa che si muove?

«È molto presto per dirlo, ma vedo dei germogli. Ci sono dei giovani che cercano delle attività, in tante condizioni e situazioni. Cercano di vivere una vita vera, e quindi cercano testimoni. Provando, insieme, a costruire un percorso virtuoso».

I meno giovani allora dovrebbero seguire questi giovani?

«Sì, è un momento così. D’altronde la Chiesa è ben cominciata da un giovane, da Giovanni, un giovane di 18 anni che è stato testimone dell’atto salvifico della Storia intera. Non stiamo parlando di “quel” giorno a Gerusalemme, ma dell’atto con cui l’umanità è stata salvata e redenta. È una scelta strana quella di Dio: non ha scelto l’esperto, ma chi si è lasciato coinvolgere e conquistare il cuore».

Come si fa a tornare giovani?

«Non si deve tornare nel grembo materno, come disse Gesù a Nicodemo, ma bisogna rinascere dall’alto, dall’acqua e dallo Spirito Santo, che ci conduce. Chi è guidato dallo Spirito Santo non sa da dove viene, ne dove va, però ne sente la voce. E il luogo dove incontrarLo è la comunità che si lascia plasmare da Dio, dalla sua parola e dalla sua volontà».

E come mi accorgo che mi sta plasmando Dio, e non un altro?

«Me ne accorgo dai frutti: dalla gioia, dalla pace, dalla benevolenza, dalla sincera coscienza di un’azione di Dio che scavalca i nostri sforzi umani, pur buoni. Noi proviamo a fare il bene, ma c’è qualcosa che va al di là… Ecco, quando hai la coscienza che sta succedendo qualcosa che non è umano e che non è tuo, allora ti accorgi che Dio sta lavorando».

Ha fatto gli auguri a tante persone: li faccia anche ai lettori di Voce.

«Il mio augurio è che sappiano seguire la voce che grida nel deserto e prepara la strada del Signore. Allora auguro alla redazione di Voce di essere profetica: una voce, anche se si ha la sensazione che sia nel deserto, che annunzia il Signore. Vi auguro di saper riconoscere il Signore. Ai lettori auguro di seguire quella voce che li sta chiamando a cose che magari possono sembrare assurde, ma cambiano la vita. E spero che quella voce parli anche attraverso Voce (sorride)».

Rispetto allo scorso anno, per lei questo che Natale è?

«È bello. Sto vivendo una situazione in cui c’è una comunità, quella di Casa San Francesco, che “si sta facendo le ossa”. Vedo una ricchezza di carattere spirituale. Vedo un luogo dove la presenza di Dio si sta facendo strada».

C’è chi passerà il Natale da solo: quale comunità può cercare?

«Una comunità di amici. Io farò il pranzo con i poveri il 23 dicembre, è un piccolo segno. Ricordo che lo facevo anche a Genova con quelli della nostra mensa: un pranzo insieme per festeggiare il Natale, con i regali. Una cosa più piccola, più familiare. In fondo, quello che ci vuole non è una cosa istituzionale, ma un rapporto di prossimità. Signore, chi è il mio prossimo? Chi trovo per strada, chi è vicino lì, in quel momento».

Vuole ancora dirci qualcosa?

«C’è una cosa che mi gira dentro il cuore, ed è questa. A Natale festeggiamo Dio fatto uomo, ma il disegno di Dio fatto uomo, Gesù Cristo, è quello di vivere l’incarnazione anche dentro le nostre storie, la nostra vita. Noi siamo degli “abitati da Dio”, tempio di Dio, una presenza di Dio che si fa carne per vivere nel mondo. Al punto da poter dire, con San Paolo: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2, 20). Noi siamo altrettante incarnazioni di Cristo, del Verbo di Dio. È questo il Suo disegno. Noi dobbiamo accorgerci di questa cosa, e viverla».

Anche nelle situazioni più difficili?

«Dio è venuto a incontrare qualunque circostanza. Anche la più faticosa».

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