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Viganò vs Francesco: Don Giovanni Bagnus, giudice del Tribunale ecclesiastico, ci spiega di che cosa si tratta

«Il delitto di scisma non è essere in disaccordo con il Papa, ma è il porsi in modo reiterato, pubblico, direi quasi violento contro il Pontefice»

L’arcivescovo Carlo Maria Viganò  già nunzio apostolico negli Stati Uniti, è sotto processo per scisma da parte del Dicastero per la dottrina della fede. Lo ha comunicato lo stesso Viganò sui social, pubblicando anche il decreto di citazione del Dicastero vaticano guidato dal cardinale Victor M. Fernandez. L’arcivescovo si sarebbe dovuto presentare (o nominare un suo difensore) mercoledì 19 giugno alle 15.30 per “prendere nota delle accuse e delle prove circa il delitto di scisma di cui è accusato (affermazioni pubbliche dalle quali risulta una negazione degli elementi necessari per mantenere la comunione con la Chiesa cattolica: negazione della legittimità di papa Francesco, rottura della comunione con Lui e rifiuto del Concilio Vaticano II)”. Nel caso di mancata comparizione o di una difesa scritta presentata entro il 28 giugno, recita il decreto, l’arcivescovo “sarà giudicato in sua assenza”. Viganò non si è presentato e ha poi dichiarato che non si presenterà. Che cosa può succedere adesso? Lo abbiamo chiesto a don Giovanni Bagnus, giudice collegiale del Tribunale ecclesiastico diocesano di Alessandria. E lui, con grande disponibilità, ha accettato di rispondere alle nostre domande.

Don Giovanni, siamo rimasti colpiti dall’accusa, un po’ “antica”, di scisma: che cosa significa?

«Lo scisma è quando qualcuno si pone volontariamente al di fuori della Chiesa, non riconoscendo l’autorità del Sommo Pontefice o della Chiesa stessa. Quindi è una scelta consapevole di non adesione al governo della Chiesa».

L’eresia è un’altra cosa…

«L’eresia è una scelta consapevole, ostinata, di non adesione ai principi e alle verità che la Chiesa esprime. Lo scisma, invece, è più legato al primato petrino, al Concilio: insomma al governo in sé della Chiesa. Monsignor Viganò ha parlato più volte di illegittimità dell’elezione di papa Francesco, e ha definito “un cancro” il Concilio Vaticano II. Queste posizioni lo pongono automaticamente fuori dalla Chiesa».

Nel 2011 monsignor Viganò è stato nominato da papa Benedetto XVI nunzio apostolico negli Stati Uniti d’America, ruolo che ha ricoperto fino al 2016. Sembra impossibile che un “pezzo grosso” di questo livello a un certo punto si metta a fare lo scismatico.

«Eh… Si tratta di un cambio di prospettiva alquanto pesante. Io penso, ma è un giudizio personale, che potrebbe essere stato influenzato da persone o situazioni in cui ha vissuto. Magari anche sotto pressione di alcune lobby che, soprattutto nel Nord America, non apprezzano molto papa Francesco. Ma le mie sono solo congetture».

Torniamo all’accusa di scisma.

«Innanzitutto, bisogna chiarire che quando siamo dinanzi a delitti come eresia, apostasia e scisma, che sono oltretutto riservati al Dicastero della dottrina della fede, c’è la scomunica latae sententiae (“sentenza già data”). Il che significa che, per il solo fatto che una persona si pone in una condizione scismatica, è automaticamente scomunicata».

Non serve alcun procedimento?

«Il procedimento serve, anche se nella citazione a monsignor Viganò si legge che non è necessaria un’istruttoria, cioè una raccolta di prove: le prove sono già pubbliche, con tutte le dichiarazioni e le posizioni che lui stesso ha espresso in diversi articoli e video. Il procedimento sarà molto probabilmente una presa d’atto».

Che cosa rischia Viganò?

«Quando uno viene scomunicato, non può né accedere ai sacramenti né, a maggior ragione, celebrarli, così come non può più accedere a uffici ecclesiastici. Nel caso specifico, la “pena” più grave che potrebbe essergli comminata è la dimissione dallo stato clericale. Che per un arcivescovo, perché lui è un arcivescovo, è evidentemente una questione molto grave».

Viganò si è paragonato all’arcivescovo Marcel Lefebvre, altro celebre scismatico.

«I lefebvriani si sono già dissociati da questo paragone. Lo scisma di Lefebvre era dovuto a motivazioni diverse, più dottrinali; quello di monsignor Viganò è semplicemente un attacco continuo al Pontefice. Con Lefebvre si è sempre cercato di parlare, dialogare e trattare: in questo caso non credo esistano possibilità di recupero».

Nei suoi video, diffusissimi anche da noi, l’ex nunzio dimostra di possedere una eccellente dialettica e di saperla usare con efficacia per i suoi scopi. Ho visto anche qualche sacerdote “tentennare”, di fronte a certe considerazioni su Papa e Concilio…

«Per rimanere ben saldi, secondo me è necessaria un continuo aggiornamento teologico dedicato al clero. Un sacerdote con una formazione che si è fermata al seminario è inevitabilmente più fragile. Con una struttura conoscitiva più robusta si riesce a distinguere meglio ciò che è vero da ciò che non lo è».

Anche i laici sono sensibili alle esternazioni di monsignor Viganò. Perché?

«Ribadisco: manca una formazione alla base. Senza formazione si rimane deboli».

Che si debba seguire il Papa, però, non mi sembra un “approfondimento”. Dovrebbe essere il minimo sindacale…

«Lo so, però viviamo in un periodo storico delicato, in cui i media e i social mettono continuamente in discussione la Chiesa e i Pontefici, soprattutto Benedetto XVI e Francesco, spesso messi l’uno contro l’altro in polemiche inventate e pretestuose».

Però sui preti questa “disinformazione” fa un po’ specie: seguire il Papa dovrebbe essere l’abc del proprio ministero.

«Il problema di fondo è che alcuni sacerdoti scaricano sul Concilio Vaticano II e sul Papa gli attuali problemi della Chiesa: l’avere poco seguito, la diminuzione dei fedeli e delle vocazioni, e così via. È un modo per evitare di assumersi le proprie responsabilità: noi sacerdoti abbiamo certamente delle colpe che non possiamo scaricare sul “sistema”, su chi è più in alto di noi. È troppo facile prendersela con il Papa, con il Concilio o con il Vescovo… le responsabilità sono anche nostre, riconosciamolo.

Se io, laico o consacrato, mi ritrovassi pienamente nelle parole di Viganò, mi dovrei ritenere scomunicato latae sententiae?

«No, no. Lo scisma non è semplicemente un non essere d’accordo con alcune posizioni del Pontefice o della Chiesa, ma è il porsi in modo reiterato, pubblico, direi quasi violento contro il Pontefice in sé. Non su una decisione o su un determinato tema, ma in generale».

Ma se continuassi ad avere certi dubbi, che consiglio mi daresti per rendere più chiara la mia posizione e rimanere nell’alveo della Chiesa?

«Quello che suggerirei è di non basarsi solo sugli articoli che si leggono sui social o sui giornali».

Tranne gli articoli di Voce, che intervista solo esperti di un certo livello…

«Sì (sorride). Ma poi suggerirei di fare un approfondimento: se c’è un tema particolare sul quale si ritiene che il Papa non sia in linea con la Chiesa, suggerirei di parlare con un sacerdote o con qualcuno veramente preparato, in modo tale da sviscerare il tema e capire se c’è continuità o no. La fede non può essere presa come un “pacchetto” che, alla fine, nemmeno apriamo per vedere che cosa c’è dentro. Bisogna anche mettere, e mettersi, in discussione: essere uomini e donne in ricerca di senso. Perché la Chiesa, perché il Papa mi dice questa cosa? Non sono d’accordo? Va bene, ma perché? Non dobbiamo mai stancarci di cercare la risposta ai nostri perché».

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