«L’ostacolo più grande a questo cammino è non riuscire a mettersi in discussione.
Perché chi è convinto di sapere già rimane fermo. Non si sposta, è sclerotico»
Eccellenza, dal 1° dicembre entrando in Cattedrale nella Porta Santa ci si imbatte subito in una novità. Di cosa si tratta?
«Si tratta del percorso giubilare che abbiamo allestito per accompagnare i fedeli che desiderano vivere il momento dell’Indulgenza e del Giubileo in un modo un po’ più profondo. Accompagnandoli in un percorso che li aiuti, arrivando alla fine a vivere l’Indulgenza non come un compitino: “Io faccio queste cose e tu mi perdoni tutte le colpe”. È un po’ la tentazione dell’essere umano: ridurre tutto a una lista di cose da fare. Invece quel percorso serve a prendere coscienza del fatto che tu ti presenti di fronte a Dio con la tua storia. C’è il rischio, quindi, di arrivare lì e dire: “Sono qui per dire il Credo, il Pater-Ave-Gloria secondo le intenzioni del Papa; e per aver l’assoluzione da ogni peccato mi confesso e poi mi comunico. Tutto questo per lucrare l’Indulgenza”. Un compitino, una bella lista asettica che non ti coinvolge. Invece, il percorso ti porta a pensare a quali sono le “notti” della tua vita. Quali sono i fallimenti che ti stanno bruciando nel cuore, o ti stanno abbattendo dalle tue radici? Qual è il tuo atteggiamento interiore nel momento in cui Gesù sale sulla barca della tua esistenza? Sei disposto ad assecondarlo, anche con le tenebre e i fallimenti che la vita ti ha generosamente riservato (anche con la tua “lieta” collaborazione)? Anche con un atteggiamento negativo, tu sei disposto ad accogliere il Signore sulla tua barca? Sei disposto a dargli fiducia, a fare quello che ti dice, anche se ti sembra strano?».
Tante domande, che siamo invitati ad affrontare in un percorso composto da 24 pannelli. Il punto di partenza è il fallimento. Perché?
«Se ci pensiamo, anche la Santa Messa parte da lì. Parte cioè dal riconoscimento dei propri peccati. Il peccato è il fallimento. Non “un”, ma “il” fallimento. Intendo dire che qualsiasi cosa ti capiti, se non è colpa tua, può farti sentire solo “sfortunato”, non fallito. Ma invece sei fallito quando è veramente colpa tua, quando a seguito delle tue scelte sbagli. È allora che sei un fallito. Perché cominciare da lì, dunque? Perché siamo dei pessimisti? Perché ci piace cospargerci il capo di cenere? Perché ci piace lamentarci? No, perché la gioia piena la raggiungo solo quando i miei fallimenti, le mie tenebre, le mie insufficienze, le mie difficoltà, i miei problemi li metto nelle mani di Dio. E mi lascio trasformare da Lui; anzi, lascio che Lui trasformi tutte queste cose. “Hai mutato il mio lamento in danza, la mia veste di sacco in abito di gioia”: così dice un Salmo. Questa è l’azione di Dio, che non è versare grazia su qualcosa che è già buono, ma è portare grazia e pace là dove c’è disperazione e lutto».
Affidare il proprio fallimento a Dio sembra, umanamente, uno sforzo impossibile.
«Questo atto di affidarsi a Dio, che alla fine è l’atto di fede, è l’unica possibilità che ti salva da un affondare, come è successo a Pietro quando ha provato a camminare sulle acque. È un atto che, rinnovandosi continuamente, diventa sempre più profondo ogni volta che riconosco la grandezza e la misericordia di Dio. Fidarsi di Dio è una strada, un cammino lungo. E, in fondo, anche ripetitivo. Come l’Anno liturgico, che torna sempre sulle stesse cose, ma in una maniera ogni volta rinnovata. Un po’ come un circuito…».
Però il circuito è sempre uguale: questo invece no?
«È un circuito che puoi vivere in un modo sempre diverso, anche se passi sempre dalle stesse cose. Passi sempre dal tuo peccato, dalla richiesta di perdono, dalla misericordia di Dio. È un circuito che fa sempre lo stesso giro, ma va più in profondità».
Si riesce a fare da soli tutto questo?
«No, non è un atto della volontà propria. Tu puoi solo desiderare che il Signore ti converta. E questo è l’apice del desiderio. Una volta desiderato questo, tu cerchi di incontrarlo. E allora ti metti nei crocevia della vita in cui sai che hai più probabilità di vederLo passare o di sentirLo passare, quando sei cieco. E Lui ti cambia».
Prima di arrivare all’ultimo pannello, ci viene chiesto di perdonare. Ma non si può perdonare, se prima non si è stati perdonati…
«Infatti lì c’è il crocifisso. Il crocifisso è il segno del grande perdono di Dio. “Rimetti a noi i nostri debiti” chiediamo, e poi: “Come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”. È anche il desiderio di Dio: “Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra”. Perché la volontà di Dio è che noi siamo perdonati, che noi viviamo la santità, ed è per questo che abbiamo bisogno del perdono. Dio ci perdona e anche noi perdoniamo. Gesù l’ha insegnato con quella parabola del servo che, una volta condonatigli i debiti, diventa intransigente con l’altro servo che gli doveva pochi soldi, in confronto a quelli che lui avrebbe dovuto restituire al padrone. Ecco, noi siamo così… è proprio nel perdono di Dio che possiamo trovare la forza per perdonare i fratelli. Se così non è, vuol dire che non abbiamo nemmeno compreso il perdono di Dio».
Eccellenza, lei ha fatto e farà ancora la guida in Cattedrale. Cosa scopre, o ha scoperto, facendo questo cammino con i pellegrini?
«Una delle cose che mi colpisce e richiama di più è questa frase: “Tieni aperta a ogni costo la porta della salvezza nel tuo cuore” nel pannello numero 8. È riferita a Simone, che dopo una notte sprecata inutilmente a pescare, non avendo preso nulla era di pessimo umore. È lì che sta lavando la rete, sottolineando e meditando ancora di più sulla inutilità di quella notte che però porta con sé la necessità di lavare la rete: oltre al danno, anche la beffa. Ed è proprio in quel momento che Gesù sale sulla sua barca. Ma che bello quello scorcio della barca con sopra Gesù! Lui sale sulla tua barca, ed è lì che ti guarda, ti aspetta. E tu non sei tanto portato, in certi momenti della vita, a riprendere il largo… e dopo Lui ti dice: “Prendi il largo e getta le reti per la pesca”. I tuoi colleghi, che ti vedono andare a pescare di giorno, magari pensano: “Non gli è bastata la notte, anche di giorno vuole non prendere nulla?”. Ecco, questo mi colpisce: io devo tenere aperta la porta della salvezza, di fronte al mio cattivo umore, di fronte alle mie fatiche, ai miei problemi, al mio pessimismo. Non chiudermi davanti alla possibilità che possa accadere qualcosa di più, rispetto a quello che ho in mente io. Può capitare in qualsiasi momento… anzi, Gesù sceglie proprio quei momenti che a noi sembrerebbero inopportuni».
Il Vangelo può farci fare un’esperienza vissuta ancora oggi, dunque?
«L’aiuto che vogliamo dare con il percorso è proprio questo: attraverso degli oggetti è possibile provare ad aiutare l’anima a muoversi. In questo siamo supportati non soltanto dalle parole, ma anche dalle immagini. Da una tangibilità che facilita l’immedesimarci, e a pensare al Vangelo non come a una storiella: ma come a un evento accaduto allora, che sta accadendo anche adesso».
Quanto ci frena il pensare di “sapere già” queste cose?
«Tanto, veramente tanto. L’ostacolo più grande a questo cammino è pensare di sapere già, e anche il non riuscire a mettersi in discussione. D’altronde, il vecchio “gioco” dell’uomo è proprio questo: la grande tentazione è sapere per possedere. Senza rendersi conto che sapendo non possiedi, e che la vita ti chiede non solo di sapere, ma anche di essere coinvolto. Chi invece è convinto di sapere già, rimane fermo. Non si sposta, è sclerotico».
Eccellenza, questo percorso sembra essere interessante per tutti. Ci inviti a farlo.
«È veramente per tutti. E a tutti dico: venite e vedrete!».
Eccellenza, dal 1° dicembre entrando in Cattedrale nella Porta Santa ci si imbatte subito in una novità. Di cosa si tratta?
«Si tratta del percorso giubilare che abbiamo allestito per accompagnare i fedeli che desiderano vivere il momento dell’Indulgenza e del Giubileo in un modo un po’ più profondo. Accompagnandoli in un percorso che li aiuti, arrivando alla fine a vivere l’Indulgenza non come un compitino: “Io faccio queste cose e tu mi perdoni tutte le colpe”. È un po’ la tentazione dell’essere umano: ridurre tutto a una lista di cose da fare. Invece quel percorso serve a prendere coscienza del fatto che tu ti presenti di fronte a Dio con la tua storia. C’è il rischio, quindi, di arrivare lì e dire: “Sono qui per dire il Credo, il Pater-Ave-Gloria secondo le intenzioni del Papa; e per aver l’assoluzione da ogni peccato mi confesso e poi mi comunico. Tutto questo per lucrare l’Indulgenza”. Un compitino, una bella lista asettica che non ti coinvolge. Invece, il percorso ti porta a pensare a quali sono le “notti” della tua vita. Quali sono i fallimenti che ti stanno bruciando nel cuore, o ti stanno abbattendo dalle tue radici? Qual è il tuo atteggiamento interiore nel momento in cui Gesù sale sulla barca della tua esistenza? Sei disposto ad assecondarlo, anche con le tenebre e i fallimenti che la vita ti ha generosamente riservato (anche con la tua “lieta” collaborazione)? Anche con un atteggiamento negativo, tu sei disposto ad accogliere il Signore sulla tua barca? Sei disposto a dargli fiducia, a fare quello che ti dice, anche se ti sembra strano?».
Tante domande, che siamo invitati ad affrontare in un percorso composto da 24 pannelli. Il punto di partenza è il fallimento. Perché?
«Se ci pensiamo, anche la Santa Messa parte da lì. Parte cioè dal riconoscimento dei propri peccati. Il peccato è il fallimento. Non “un”, ma “il” fallimento. Intendo dire che qualsiasi cosa ti capiti, se non è colpa tua, può farti sentire solo “sfortunato”, non fallito. Ma invece sei fallito quando è veramente colpa tua, quando a seguito delle tue scelte sbagli. È allora che sei un fallito. Perché cominciare da lì, dunque? Perché siamo dei pessimisti? Perché ci piace cospargerci il capo di cenere? Perché ci piace lamentarci? No, perché la gioia piena la raggiungo solo quando i miei fallimenti, le mie tenebre, le mie insufficienze, le mie difficoltà, i miei problemi li metto nelle mani di Dio. E mi lascio trasformare da Lui; anzi, lascio che Lui trasformi tutte queste cose. “Hai mutato il mio lamento in danza, la mia veste di sacco in abito di gioia”: così dice un Salmo. Questa è l’azione di Dio, che non è versare grazia su qualcosa che è già buono, ma è portare grazia e pace là dove c’è disperazione e lutto».
Affidare il proprio fallimento a Dio sembra, umanamente, uno sforzo impossibile.
«Questo atto di affidarsi a Dio, che alla fine è l’atto di fede, è l’unica possibilità che ti salva da un affondare, come è successo a Pietro quando ha provato a camminare sulle acque. È un atto che, rinnovandosi continuamente, diventa sempre più profondo ogni volta che riconosco la grandezza e la misericordia di Dio. Fidarsi di Dio è una strada, un cammino lungo. E, in fondo, anche ripetitivo. Come l’Anno liturgico, che torna sempre sulle stesse cose, ma in una maniera ogni volta rinnovata. Un po’ come un circuito…».
Però il circuito è sempre uguale: questo invece no?
«È un circuito che puoi vivere in un modo sempre diverso, anche se passi sempre dalle stesse cose. Passi sempre dal tuo peccato, dalla richiesta di perdono, dalla misericordia di Dio. È un circuito che fa sempre lo stesso giro, ma va più in profondità».
Si riesce a fare da soli tutto questo?
«No, non è un atto della volontà propria. Tu puoi solo desiderare che il Signore ti converta. E questo è l’apice del desiderio. Una volta desiderato questo, tu cerchi di incontrarlo. E allora ti metti nei crocevia della vita in cui sai che hai più probabilità di vederLo passare o di sentirLo passare, quando sei cieco. E Lui ti cambia».
Prima di arrivare all’ultimo pannello, ci viene chiesto di perdonare. Ma non si può perdonare, se prima non si è stati perdonati…
«Infatti lì c’è il crocifisso. Il crocifisso è il segno del grande perdono di Dio. “Rimetti a noi i nostri debiti” chiediamo, e poi: “Come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”. È anche il desiderio di Dio: “Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra”. Perché la volontà di Dio è che noi siamo perdonati, che noi viviamo la santità, ed è per questo che abbiamo bisogno del perdono. Dio ci perdona e anche noi perdoniamo. Gesù l’ha insegnato con quella parabola del servo che, una volta condonatigli i debiti, diventa intransigente con l’altro servo che gli doveva pochi soldi, in confronto a quelli che lui avrebbe dovuto restituire al padrone. Ecco, noi siamo così… è proprio nel perdono di Dio che possiamo trovare la forza per perdonare i fratelli. Se così non è, vuol dire che non abbiamo nemmeno compreso il perdono di Dio».
Eccellenza, lei ha fatto e farà ancora la guida in Cattedrale. Cosa scopre, o ha scoperto, facendo questo cammino con i pellegrini?
«Una delle cose che mi colpisce e richiama di più è questa frase: “Tieni aperta a ogni costo la porta della salvezza nel tuo cuore” nel pannello numero 8. È riferita a Simone, che dopo una notte sprecata inutilmente a pescare, non avendo preso nulla era di pessimo umore. È lì che sta lavando la rete, sottolineando e meditando ancora di più sulla inutilità di quella notte che però porta con sé la necessità di lavare la rete: oltre al danno, anche la beffa. Ed è proprio in quel momento che Gesù sale sulla sua barca. Ma che bello quello scorcio della barca con sopra Gesù! Lui sale sulla tua barca, ed è lì che ti guarda, ti aspetta. E tu non sei tanto portato, in certi momenti della vita, a riprendere il largo… e dopo Lui ti dice: “Prendi il largo e getta le reti per la pesca”. I tuoi colleghi, che ti vedono andare a pescare di giorno, magari pensano: “Non gli è bastata la notte, anche di giorno vuole non prendere nulla?”. Ecco, questo mi colpisce: io devo tenere aperta la porta della salvezza, di fronte al mio cattivo umore, di fronte alle mie fatiche, ai miei problemi, al mio pessimismo. Non chiudermi davanti alla possibilità che possa accadere qualcosa di più, rispetto a quello che ho in mente io. Può capitare in qualsiasi momento… anzi, Gesù sceglie proprio quei momenti che a noi sembrerebbero inopportuni».
Il Vangelo può farci fare un’esperienza vissuta ancora oggi, dunque?
«L’aiuto che vogliamo dare con il percorso è proprio questo: attraverso degli oggetti è possibile provare ad aiutare l’anima a muoversi. In questo siamo supportati non soltanto dalle parole, ma anche dalle immagini. Da una tangibilità che facilita l’immedesimarci, e a pensare al Vangelo non come a una storiella: ma come a un evento accaduto allora, che sta accadendo anche adesso».
Quanto ci frena il pensare di “sapere già” queste cose?
«Tanto, veramente tanto. L’ostacolo più grande a questo cammino è pensare di sapere già, e anche il non riuscire a mettersi in discussione. D’altronde, il vecchio “gioco” dell’uomo è proprio questo: la grande tentazione è sapere per possedere. Senza rendersi conto che sapendo non possiedi, e che la vita ti chiede non solo di sapere, ma anche di essere coinvolto. Chi invece è convinto di sapere già, rimane fermo. Non si sposta, è sclerotico».
Eccellenza, questo percorso sembra essere interessante per tutti. Ci inviti a farlo.
«È veramente per tutti. E a tutti dico: venite e vedrete!».
Andrea Antonuccio – direttore@lavocealessandrina.it