«Dio non mi ha mai voltato le spalle»

Quando Diego e Larives mi hanno chiesto di raccontare la mia storia familiare in occasione del Giubileo delle Famiglie del 1° giugno scorso mi hanno colto un po’ di sorpresa, ma mi hanno anche costretta ad un salutare ripensamento di tutta la mia vicenda che ha poi facilitato la testimonianza pubblica.

Ho raccontato così di aver incontrato mio marito nell’ambito dell’esperienza ecclesiale di Comunione e Liberazione. Durante il fidanzamento immaginavamo per il nostro futuro la creazione di una famiglia “normale”, con un adeguato numero di figli (chissà?) e forse con il desiderio anche di accogliere qualche bambino bisognoso; ma si trattava di sogni che in seguito sono stati ampiamente superati dalla realtà.

Dopo qualche anno di matrimonio, infatti, abbiamo dovuto dolorosamente constatare che i figli che avremmo voluto non sarebbero arrivati per via naturale; tuttavia il cammino di fede che insieme stavamo percorrendo ci ha aiutato a vedere in questa circostanza la possibilità di un’altra chiamata, anziché una disgrazia. Ci siamo così affidati alla compagnia degli amici dell’Associazione Famiglie per l’Accoglienza, una realtà di Comunione e Liberazione, nata a Milano nel 1982 e ora diffusa in tutta Italia e in tanti altri Paesi del mondo, per aggregare famiglie adottive, affidatarie o comunque aperte all’accoglienza del bisogno altrui a vario titolo. Nell’ambito di questo cammino di verifica è stato naturale, dopo due anni, giungere a presentare domanda di adozione nazionale.

Nel frattempo, però, non volevamo ripiegarci su noi stessi e sulla nostra attesa, che poteva essere logorante, e pertanto abbiamo chiesto al Signore di mostrarci che cosa voleva da noi. La Sua risposta non si è fatta attendere: nel cortile del nostro condominio, in un garage sotto il nostro balcone, viveva più o meno abusivamente, un immigrato marocchino cui poco dopo abbiamo offerto ospitalità in casa, perché la sua presenza lì sotto non ci lasciava tranquilli. Abbiamo abbracciato questa nuova avventura con grande entusiasmo e convinti di poter “fare del bene”, ma poco dopo il nostro ospite ci ha ringraziati andandosene di nascosto dopo averci sottratto del denaro: una delusione bruciante, che però è stata anche un insegnamento utile per l’avvenire, togliendoci subito la presunzione di essere noi quelli che possono salvare qualcun altro.

In seguito la nostra casa è stata spesso visitata da altri incontri: ragazzi problematici in difficoltà con le proprie famiglie, lavoratori fuori sede bisognosi di alloggio immediato, persone che avevano necessità di allontanarsi dal proprio ambiente per superare problemi di depressione e anche parenti di ammalati provenienti da altre regioni. In mezzo a tutte queste vicende è arrivato nostro figlio: un bambino di 13 mesi, “un po’ problematico ma con buone possibilità di recupero” (così ci era stato presentato dagli operatori dei servizi sociali): nel tempo abbiamo sperimentato che cosa significasse effettivamente quella definizione. Gioia, dolore, fatica, frustrazione ma anche grande speranza ci hanno costantemente accompagnato richiamandoci sempre all’evidenza che un figlio è dono e non possesso, perché è “altro”, voluto così da un Altro.

Dopo alcuni anni, accompagnati da altre accoglienze, siamo stati interpellati anche per una possibilità di affido, per la quale avevamo dato disponibilità che però non speravamo più che venisse accolta. È entrata così nella nostra famiglia anche una figlia, una bambina dall’infanzia difficile, che una volta di più ci ha messo a dura prova ma al tempo stesso ci ha reso più pieni di gusto per l’amore e la vita.

Dopo tante avventure insieme, purtroppo tre anni fa, nel giro di un mese, il Covid mi ha portato via impietosamente prima mio marito e poi i miei suoceri e mio cognato: mi sono così ritrovata da sola in casa con mio figlio (nel frattempo infatti la figlia 19enne se n’era andata di casa malamente, anche se con lei ho recuperato in seguito un rapporto che non si è più interrotto).

Anche in questa circostanza di tremendo dolore non ho mai pensato che Dio mi avesse voltato le spalle, ma ho cercato di affidarmi a Lui, soprattutto attraverso la compagnia più stretta di alcuni amici, chiedendo ancora una volta un segno che mi indicasse come proseguire il cammino e il segno non si è fatto attendere.

Nel mese di gennaio 2022 infatti ho perso quasi tutta la mia famiglia e nel mese di febbraio è scoppiata la tristemente nota guerra in Ucraina. Al termine di un rosario per la pace recitato ai giardini pubblici della stazione ferroviaria, cui avevo partecipando pensando solo ad uscire di casa anziché stare a piangere, un amico volontario dell’Associazione Sie mi ha avvicinato e, dopo le condoglianze di rito, mi ha detto che stava per andare in Polonia a prendere alcuni ucraini del primo contingente destinato a venire qui. Senza attendere troppo la sua esitazione nel chiedermi se ero disponibile all’ospitalità, ho risposto “sì” di getto. Subito dopo mi ha assalito il timore di aver commesso un azzardo nella mia nuova situazione di vedova, ma al tempo stesso ho sentito in me una grande pace nella certezza che Dio mi avrebbe sorretto ovviando anche alla mia sconsideratezza. Questo sentimento si è ulteriormente rafforzato vedendo che mio figlio, pur informato a cose fatte, ha subito approvato la mia decisione.

Così, dopo una settimana, sono arrivate a casa mia una mamma, fuggita da Irpin con due bambine avendo lasciato il marito e un figlio al fronte. Nonostante le difficoltà legate alla differenza di lingua, è stata immediata, attraverso i gesti e le immagini sul telefonino, la comprensione del racconto del loro dramma, davanti al quale non ho potuto fare altro che piangere con loro.

Alcuni giorni dopo la famigliola ha trovato una sistemazione più adeguata in una casa di campagna e così sono entrate in casa mia, e soprattutto nella mia vita fino a oggi, Nina e Marina, mamma e figlia rispettivamente di 75 e di 54 anni, con le quali nel tempo è nata una familiarità sempre più grande, che ha coinvolto anche gli amici a me più vicini e successivamente un’altra famiglia ucraina.

Le differenze di lingua, cultura, religione e storie personali non hanno mai costituito un ostacolo, ma se mai uno stimolo ulteriore ai rapporti perché in fondo il cuore dell’uomo è fatto allo stesso modo ovunque nel mondo ed ha la stessa attesa di accoglienza e felicità.

La nostra amicizia in questi tre anni è cresciuta, fino a che oggi le mie ospiti mi dicono spesso che ormai sono parte della loro famiglia e anch’io so di aver acquisito un’altra famiglia, così diversa e inattesa ma comunque un grande dono con il quale il Signore mi ha restituito in altra forma ciò che sembrava avermi tolto.

In questi tre anni sono giunti in Italia anche la figlia, il genero e i due nipotini di Marina, e con loro è iniziata un’altra avventura, segnata dalla ricerca di cure mediche per un grave problema di salute della bambina ma anche dall’accompagnamento al bimbo che ha dovuto inserirsi nella scuola italiana. Anche in tutte queste vicende ho assistito al miracolo di una rete di amicizie, alcune nuove e del tutto inaspettate, nella quale le necessità di tutti hanno trovato almeno un tentativo di risposta.

Io ora attendo con curiosità di vedere dove mi porterà questa nuova storia nella certezza che un Altro la conduce e a me chiede solo di collaborare con disponibilità, così che la vita sia vissuta ogni giorno con un gusto e una bellezza sempre nuovi perché non dipendono da me soltanto.

Isa Zanotto

In famiglia c’è posto per tutti! Leggi qui il racconto del Giubileo delle famiglie del 1 giugno 2025

Le testimonianze del 1 giugno 2025, Giubileo delle famiglie, le trovi qui

Check Also

Alejandro nuovo Lettore

Al seminarista è stato conferito il ministero del Lettorato «Vorrei trasmettere l’amore di Cristo affinché …

Sahifa Theme License is not validated, Go to the theme options page to validate the license, You need a single license for each domain name.