Home / Senza categoria / La forza della Memoria/2 – Il campo di Birkenau

La forza della Memoria/2 – Il campo di Birkenau

Siamo al 2° giorno del “Viaggio della Memoria”. Sveglia alle 6, si parte per Oświęcim. Questo almeno è il nome polacco della località che i cartelli stradali indicano, e che raggiungiamo da Cracovia dopo una sessantina di chilometri. Soltanto una volta arrivati al cancello del lager leggiamo il nome con cui questo luogo è tristemente noto nel mondo. La nostra visita comincia al campo di Birkenau, Auschwitz II. Qui le parole cominciano a non corrispondere alle cose, anzi, ne sono una irridente caricatura. Il primo “trasporto” di esseri umani (ebrei in primo luogo, ma anche testimoni di Geova, omosessuali maschi, prostitute, politici dell’opposizione o semplicemente non allineati con le tesi della “purezza” della razza) destinati allo sterminio partì da Roma, dopo la “pulizia” del ghetto. Arrivati al campo, per prima cosa c’era la “selezione”, cioè l’individuazione di quelli che sarebbero subito andati a morire, specialmente donne, bambini e malati, non utili per i campi di lavoro. E così via (nel cartello di ingresso ad Auschwitz 1, il contrasto tra parola e cosa toccherà la propria acme: Arbeit macht frei, il lavoro rende libero, macabra ironia del Terzo Reich). Tutti i presenti, autorità, insegnanti, studenti sono invitati a prendere un sasso e a depositarlo sul muretto del crematorio: nella tradizione ebraica, il sasso è il fiore sulla tomba. Il pallido sole, la terra piatta coperta di neve, le baracche e il filo spinato. Comprendo meglio il poeta-cantautore: un solo, grande silenzio. Dopo Birkenau, il Museo, Muzeum Auschwitz, non Oświęcim, quasi a dire che fu una cosa tutta tedesca. La nostra guida ripercorre i passaggi dell’orrore. La Germania deve diventare Judenfrei, libera dagli ebrei. Con l’annessione della Polonia aumenta nettamente il loro numero, e la Judenfrage, la questione ebrea, cambia di significato: non è sufficiente espellerli, occorre la “soluzione finale”: pianificata e preparata con la meticolosità propria di chi ha sviluppato nel tempo competenza ed esperienza organizzativa. Per la grande maggioranza dei deportati (ad Auschwitz saranno uccise oltre un milione di persone, su un totale di sei milioni di polacchi sterminati, la metà ebrei) non c’è neppure bisogno di individuare un motivo, per quanto abietto e futile, o folle: essi sono stati ammassati lì perché ebrei, a prescindere da tutto e da tutti, sono una categoria, non persone con la loro individualità e irripetibilità. Visitiamo alcuni blocchi. All’ingresso del n. 4, la frase di George Santayana: «quelli che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo». Quelli che lo negano, contro ogni evidenza, in realtà lo stanno già ripetendo, perché le parole violente e i gesti di violenza, ancorché isolati, sono l’anticamera delle violenze fisiche generalizzate. I nazisti non fecero in tempo a distruggere tutte le prove dello sterminio, perché gli Alleati arrivarono prima. Entriamo nei blocchi dove l’orrore è massimo: ci sono i resti delle sette tonnellate di capelli, trovati dai russi (venivano venduti a fabbriche tessili tedesche), le ottomila scarpe di bambini rimaste, la cella 18, dove morì san Massimiliano Kolbe. È difficile trattenere le lacrime. Mi viene in mente il Dio debole di Bonhoeffer: anche dopo Auschwitz è possibile credere, in modo diverso (ricordo un profondo scritto di don Maurilio Guasco, anni fa). E penso alla nostra guida, che si proclama, con insistenza talvolta non pertinente, totalmente areligioso, ma che ha portato per tutto il Viaggio la kippah (il copricapo del pio israelita, che indica il rispetto verso Dio). Prima di ripartire alla volta dell’aeroporto di Cracovia, incontriamo l’ex-sindaco di Oświęcim, grazie a un nostro collega, che fu sindaco di una città italiana gemellata. L’ex-sindaco gestisce, insieme alla moglie, una casa-famiglia per minori. Mi sembra altamente simbolico: nei luoghi dove l’innocenza fu annientata, il volontariato ridona speranza. Rientriamo in serata a Roma, via Monaco di Baviera. Nei giorni successivi il “Viaggio della Memoria” avrà una coda, al Quirinale. (2 – continua)

Renato Balduzzi

Check Also

L’intervista al Papa sulla guerra in Ucraina: “Il coraggio di negoziare”

«È più forte quello che vede la situazione e pensa al popolo. Il negoziato non …

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

%d