Sabato 5 maggio, nella parrocchia di Santa Maria Maggiore (il Duomo di Valenza), Santiago Ortiz Giraldo ha ricevuto l’ordinazione diaconale. Santiago è un volto molto conosciuto in diocesi, ma non sono molti quelli che conoscono la sua storia personale. Ne abbiamo approfittato per farcela raccontare direttamente da lui, insieme a molto altro.
Santiago, ci racconti la tua storia?
«Sono nato a Medellín in Colombia il 19 maggio del 1991, e fino alla quinta elementare sono rimasto nel mio Paese. Fin da piccolo sognavo di diventare sacerdote. Volevo entrare in seminario minore già in Colombia, ma mia madre si era trasferita in Italia. Quindi, per decisione dei miei genitori, vengo anch’io in Italia con la speranza di entrare in seminario. La promessa è: “Vieni in Italia che c’è il Santo Padre”. Don Claudio Moschini, il mio parroco di San Giovanni Evangelista, mi consiglia di imparare bene la lingua italiana. Ero solo un bambino e a malapena sapevo salutare in italiano, quindi avrei dovuto frequentare e terminare le scuole medie. In terza media arriva il momento di decidere quali scuole superiori scegliere. Dopo averle valutate tutte, continuo a sentire il desiderio di entrare in seminario. Purtroppo i seminari minori in Piemonte erano già stati chiusi, ma don Claudio mi indica il seminario minore di Brescia: era l’aprile del 2005, dopo l’elezione di papa Benedetto XVI. A settembre di quell’anno entro in seminario. facevo avanti e indietro, tornavo ad Alessandria il sabato pomeriggio e ripartivo la domenica. Nel 2010 in occasione della celebrazione delle cresime nella mia parrocchia, conosco monsignor Giuseppe Versaldi, allora vescovo della città, che mi chiede di iniziare gli studi di teologia in Alessandria, con la promessa di entrare in seminario appena compiuti i 18 anni. Per me è una bella proposta, ma è anche molto dolorosa, perché avrei dovuto cambiare compagni e cambiare vita. Ma la voce del vescovo per me era, ed è, la voce di Dio: non potevo rifiutare un suo desiderio. Allora decido di lasciare il seminario minore di Brescia e di entrare in quello interdiocesano di Alessandria. Dovevo ancora finire la quinta superiore: al mattino frequentavo il liceo Saluzzo-Plana e alla sera dormivo in seminario. Allora eravamo 32 seminaristi».
Da dove è nata la tua vocazione?
«In primis, dalla mia famiglia e dalla mia cultura. Dopo, grazie al mio parroco in Colombia, quando ero ancora bambino. Racconto una cosa particolare».
Prego.
«Il parroco stava andando a dare la comunione a un’anziana e tutti noi ragazzi piccoli avevamo paura di lui perché era un parroco molto severo. Io lo vidi avvicinarsi a questa anziana con tenerezza e lui mi chiese di fargli da chierichetto. Questo gesto mi ha commosso e colpito molto, e ho pensato che da grande mi sarebbe piaciuto essere come lui».
Quali sono i tuoi riferimenti vocazionali?
«Sicuramente don Claudio Moschini, che mi ha insegnato i primi passi. Non posso non ricordare anche padre Francesco Raffaelli, che dalla prima alla seconda teologia mi ha accompagnato mentre svolgevo servizio nella parrocchia di Frugarolo. Un esempio di umiltà e di vera vita sacerdotale. Un altro riferimento è monsignor Guido Marini, maestro delle celebrazioni liturgiche del Papa. Mi ha sempre colpito la sua tenerezza, simpatia e semplicità, e da lui ho potuto imparare l’amore per la bella liturgia. Attualmente un mio punto di riferimento è monsignor Massimo Marasini, che mi ha accolto a Valenza dandomi fiducia e responsabilità. Poi voglio citare don Guido Oliveri, padre spirituale del seminario di Genova. E sono grato a monsignor Gallese, il mio vescovo, per la paternità, la sincerità e l’aff etto che ha dimostrato nei miei confronti. A lui e a padre Oliveri devo molto, perché mi hanno insegnato che chi è con Dio non può perdere mai. Ma, soprattutto, che dalla croce non si scende. Si può solo salire».
Hai dei santi a cui tieni in particolare?
«Nelle litanie dell’ordinazione ho voluto inserire alcuni santi. Uno, in particolare, a cui ho chiesto la grazia dell’ordinazione, è Don Bosco, e dopo un mese esatto si è fatto sentire! Poi c’è San Filippo Neri, San Luigi Orione, il padre “Marianito”, sacerdote beato colombiano patrono della pace, e anche la beata madre Michel, nostra conterranea e madre della provvidenza».
Cosa rappresenta per te la Madonna della Salve?
«“Salve” è stata la prima parola pronunciata in italiano. La sera antecedente la mia ordinazione ho chiesto ad alcuni giovani che mi conoscono, insieme con il Rinnovamento dello Spirito, di fare un po’ di adorazione. Anche grazie a don Gianni Toriggia abbiamo pregato in Cattedrale ai piedi della Salve, e ho chiesto che fosse Lei a tenermi per mano in questo cammino. Inizialmente, sapendo che c’era la Madonna “giù”, mi è dispiaciuto non essere ordinato in Cattedrale, ma proprio Lei mi ha indicato che il posto giusto era stare con tutti i giovani valenzani e nell’obbedienza. Quindi credo che non si sia offesa (ride)».
Come hai vissuto la celebrazione?
«Con tanta serenità, tantissimo affetto e la potenza di Dio. Se sono diacono è solo grazie a Lui, perché ho sentito il Suo vero intervento. Se fosse per le mie capacità, il mio carattere, le mie idee o per quelle degli altri forse non sarei diacono. Lui si è manifestato. La mia preghiera era: “Signore, se non devo essere Tuo, fai di tutto affinché io mi allontani o mi allontanino. Ma se Tu mi vuoi, prendi tutto di me, così come sono, per quello che sono e per quanto ti servo”».
Dove hai fatto esperienza in questi anni di seminario?
«La prima esperienza è stata dal 2005 al 2011 nella parrocchia di San Giovanni Evangelista, dove ho fatto i miei primi centri estivi come animatore e abbiamo rifondato la corale. Appena diventato seminarista, il primo amore è stato l’oratorio di San Giovanni Bosco di Frugarolo, dal 2011 al 2013. Poi nel 2014 ho fatto servizio nella casa del giovane di Pavia a contatto con i tossicodipendenti e disagiati. Gli ultimi tre anni sono stato a San Pio V e al Cuore Immacolato di Maria. E adesso, da sette mesi, vivo una nuova avventura nella parrocchia del Duomo e Sacro Cuore di Valenza».
Tu sei sempre stato a contatto con i giovani: secondo te quanto spazio c’è nella Chiesa per loro, e quanto nei giovani per la Chiesa?
«Nella Chiesa c’è spazio per tutti, e nei giovani ci può essere spazio per la Chiesa, soprattutto per Dio. Più che di spazio parlerei di tempo. In un mondo frenetico come quello di oggi, non c’è tempo quasi mai. Ma volendo il tempo lo si trova sempre ».
Cosa vuol dire essere diacono?
«Diacono significa servitore. Detta così dice tutto. Ma si può servire in tanti modi: si può dire di servire servendosi, si può dire di servire facendo del bene o si può dire di servire per essere strumento. A me piacerebbe essere uno strumento di Gesù e della Chiesa».
Il vescovo nell’omelia della tua ordinazione ha parlato proprio di servizio…
«È ciò che mi ha dato la forza di continuare nelle difficoltà. Ma soprattutto è la condizione senza la quale non si può essere pastori. Non è l’unica condizione, ma è una delle più importanti. E poi ho visto che se il servizio che svolgo è solo mio, è morto, ma dove è del Signore germoglia. Allora è un indicatore per capire se la tua strada è quella giusta, se il servizio deve essere strumento o altro».
Alessandro Venticinque