Parla suor Monica Odone, direttrice dell’Angelo Custode
«La mia vita da consacrata è bella perché ho scelto Dio. E anche difficile, perché vivere in comunità non è scontato. Ma questa è l’occasione di mettere in pratica il Vangelo»
Venerdì 31 gennaio, alle ore 18 nella Cattedrale di Alessandria, per la festa di san Giovanni Bosco il nostro vescovo monsignor Guido Gallese celebrerà la Santa Messa, in cui i Cooperatori salesiani cittadini rinnoveranno la loro promessa. Abbiamo chiesto a suor Monica Odone (nella foto qui sotto), direttrice dell’istituto “Angelo Custode” di Alessandria dall’agosto del 2018, di aiutarci a cogliere il valore del carisma di don Bosco, per la Chiesa e per la vita di ognuno di noi. Nata a Borgosesia il 17 marzo 1978, dopo il diploma al liceo linguistico suor Monica si iscrive alla Facoltà di Lettere dell’Università di Vercelli, dove si laurea in Archeologia cristiana. La sua vocazione comincia a manifestarsi nell’oratorio della parrocchia di Borgosesia che frequenta dall’età di 9 anni. Lì, in quel luogo, dopo quelle che lei stessa chiama “vicende alterne” (tra cui anche un fidanzamento), nel 2001 prende la decisione di consacrarsi, senza però sapere bene quale strada scegliere. Nel frattempo, facendo un corso animatori in oratorio conosce una suora salesiana: «Parlando con lei ho capito che quella era proprio la mia vocazione». Il suo padre spirituale “coglie” lo spunto e le regala un libro sulla vita di Madre Mazzarello: «E mi sono subito innamorata di lei. Solo dopo ho conosciuto don Bosco! (sorride)».
Suor Monica, la sua famiglia come ha reagito di fronte alla sua vocazione?
«Malissimo! All’inizio i miei genitori non accettavano l’idea. Vedevano la vita consacrata un po’ come un fallimento… una tragedia, insomma. I miei due fratelli, invece, pur non capendo subito la mia scelta l’hanno appoggiata. Mi sono stati più complici».
E adesso?
«Fatta la professione, i miei genitori si sono resi conto che sono felice così. E si sono messi in pace».
Chi è don Bosco, per lei?
«Per me è sicuramente un modello e un padre: qualcuno che voglio cercare di imitare, soprattutto per quanto riguarda l’attenzione agli altri, e ai giovani in particolare».
Qual è l’aspetto educativo più significativo che le è stato trasmesso dal Santo?
«Sta in una frase di don Bosco: “Ho promesso a Dio che fin l’ultimo mio respiro sarebbe stato per i giovani”».
Che cosa alimenta la sua fede?
«Sicuramente la preghiera e la meditazione della Parola di Dio. Mi rendo conto che quando manca quella tutto il resto va in crisi».
Che si fa, quando si va in crisi?
«Per me è utile tornare al mio primo amore, quello per Dio. Nel momento in cui uno torna a Dio le crisi di risolvono, e i momenti più difficili trovano un loro perché».
Domenica 2 febbraio sarà la Giornata mondiale della vita consacrata. Com’è la vita di un consacrato?
«Bella e difficile. Bella, nella misura in cui sono consapevole di Chi ho scelto; e io ho scelto Dio, al di là di tutto e di tutti. Ma anche difficile, perché vivere in comunità non è scontato. Per me è la fatica più grande, perché sono chiamata a vivere con persone che non mi sono scelta. Ma credo che proprio questa difficoltà sia il valore aggiunto della vita consacrata, perché ti permette di mettere in pratica il Vangelo tutti i giorni».
E la castità? È una fatica?
«Io la vedo come un tendere all’amore vero verso gli altri, un amare gli altri nel modo meno interessato e più libero possibile. Per me è sempre stato il problema minore, è il voto che mi pesa di meno. Certo, vedere le mie coetanee sposate con figli mi fa sempre un po’ impressione, mi pone molte domande… ma io adesso sono circondata da mille bambini! La mia è una maternità diversa. E grande».
Andrea Antonuccio