Storie dell’11 febbraio
L’11 febbraio la Chiesa festeggia anche la “Giornata mondiale del malato” istituita da Giovanni Paolo II nel 1992. A tal proposito abbiamo chiesto ad Andrea Serra, presidente dell’Oftal di Alessandria, di raccontarci la sua esperienza a contatto con le persone bisognose.
Giornata del malato, 11 febbraio, Beata Vergine di Lourdes: cosa le viene in mente davanti a queste tre parole?
«Questi elementi, fortemente collegati tra loro, mi ricordano la missione della mia vita: aiutare il prossimo come ho sempre fatto, per esempio a Lourdes. Il tutto sotto la protezione di Maria, che considero la mia “roccia”, il sostegno a cui appoggiarmi nei momenti più difficili».
Una persona che va a Lourdes, in quale modo può veramente gustare la presenza del Signore? Che differenza c’è tra andarci da volontari e andarci da pellegrini?
«A Lourdes il contatto più forte che si può avere con il Signore sta nel rapporto diretto con le persone. L’esperienza di volontariato o di pellegrinaggio a Lourdes lascia un segno proprio perché si conosce quella che è considerata la parte “debole” della società. Spesso basta davvero poco per sentirsi felici di aver giovato a qualcuno: tanti malati a Lourdes hanno innanzitutto bisogno di scambiare qualche parola, raccontare la loro esperienza, il loro dolore certe volte. L’esperienza da volontario è quindi più completa rispetto a quella di pellegrino, perché c’è la dimensione aggiuntiva dell’aiuto del prossimo. È tuttavia toccante recarsi a Lourdes anche come semplice pellegrino: è utile per prendersi del tempo per sé in un mondo spesso dominato dalle apparenze e in cui la fretta regna sovrana».
Con l’Oftal organizzate i viaggi a Lourdes, ai quali partecipano numerosi giovani. Cosa si sentirebbe di dire a una ragazza o a un ragazzo in procinto di fare quest’esperienza?
«I primi viaggi a Lourdes, specialmente se fatti in gioventù, colpiscono particolarmente e rimangono vividi nella memoria anche a distanza di anni. Anch’io andai a Lourdes per la prima volta da ragazzo. All’epoca non avevo ancora una fede forte: non è vero che per andare a Lourdes si deve essere ferventi credenti. È un’esperienza di vita che può essere fatta anche proprio per cementare la fede e per stare in compagnia, come successe a me e come accade tuttora a tanti giovani, che vi giungono in gruppi e rinsaldano cosi anche i legami tra di loro».
In un’intervista che ci ha rilasciato nel 2018 lei aveva dichiarato un “buco generazionale” in chi va a Lourdes, nella fascia di età dai 20 ai 30 anni. È ancora così?
«Sì, anzi, probabilmente è ancora più marcata. In quella fascia di età i giovani sono spesso impegnati, chi con l’università, chi con il lavoro, e progettano di trovare stabilità e mettere su famiglia. Di questi tempi non è facile: il “buco generazionale” è assolutamente normale».
Le altre voci
Mariella afferma di vivere la celebrazione da ormai tanti anni in virtù proprio della vicinanza al Santuario. Ogni volta però riesce a recepire un nuovo «messaggio di speranza» da Maria, sente qualcosa che la sprona a esserci sempre durante questa solennità. Lo spirito con cui si accosta a questa festa è lo stesso dell’8 dicembre: i due appuntamenti sono per lei molto collegati dal punto di vista spirituale.